Felice Casorati (1883-1963)

Una donna (Prima idea)

Details
Felice Casorati (1883-1963)
Una donna (Prima idea)
firmato e datato in basso a destra F. Casorati 1918; firma e titolo su un'etichetta sul retro F. Casorati, Una donna
tempera su cartone
cm 76x69
Eseguito nel 1918
Provenance
Acquisito direttamente dall'artista
Literature
G. Bertolino, F. Poli, Catalogo Generale delle opere di Felice Casorati, Torino 1995, Vol. I, p. 218, n. 134; Vol. II, n. 134 (illustrato)

Lot Essay

Certo preferisco il buon gusto, l'abilit, anche l'ordine perfetto, la naturalezza cosciente degli antichi, a l'enigmatico giuoco di cabale e indovinelli colorati di certi moderni, e non per questo sono un archeologo o un arcaista" (F. Casorati)

Questo felicissimo quadro del 1918 mostra un Casorati nuovo rispetto al pittore che dal 1907, con successo e riconoscimenti critici crescenti, ha preso parte a tutte le edizioni della Biennale di Venezia.
Il 1918 infatti, per l'artista, un anno decisivo.
Segna l'inizio di una svolta che , allo stesso tempo, umana e artistica. Dopo aver vissuto a Napoli e Verona si trasferisce a Torino, nell'appartamento di Via Mazzini 52 che diventer un luogo fondamentale per l'evoluzione della sua pittura e un punto d'incontro di generazioni di allievi e intellettuali. Con la fine della Grande Guerra, che per tre anni ne ha interrotto l'attivit artistica, si conclude la sua prima produzione, caratterizzata da un estetismo vicino alle teorie della Secessione, e in particolare ai quadri di Klimt che lo avevano suggestionato profondamente - come una novit emozionante - nella sala dedicata all'artista viennese dalla Biennale del 1910. Anche le avanguardie sembrano aver esaurito la loro spinta propulsiva. Si percepiscono, nelle opere di questo periodo, i primi segni di quel rappel l'ordre - il ritorno al mestiere e lo studio dei grandi maestri della pittura classica - che ogni artista interpreter in modo personale e che, nei lavori di Casorati, ha un'intensa base spirituale.

La profonda solitudine esistenziale che trapela da questo quadro una trasposizione in chiave poetica di un evento familiare drammatico: il suicidio del padre, che risale al 1917, spinge l'artista in direzione del cambiamento, ed alla radice delle opere desolate di quest'ultimo scorcio degli anni Dieci.
L'opera, giocata sulle assenze e sulle attese, misteriosa, immersa in un silenzio tanto impenetrabile da risultare "inquietante" come un muto colloquio tra due manichini di de Chirico. Nella linearit e nella semplificazione delle forme, come pure nella rinuncia a ogni elemento decorativo superfluo, Casorati raffigura, con un ascetismo quasi religioso, l'allegoria di una vita povera - la guerra ha lasciato un segno doloroso in molte famiglie italiane - e fissa un istante di un giorno qualunque. Questa donna, esponente di un'umanit debole e dolente, collocata in un interno vuoto, che il critico cattolico Emilio Zanzi descrive come "l'atroce architettura delle stanze dei poveri", reso pi squallido dall'uso di una tavolozza sorda, ravvivata solo - e non casualmente - dalle tonalit accese delle decorazioni delle ciotole che, in attesa del pasto, sono elementi vitali della composizione. L'analisi di un intellettuale raffinato come Piero Gobetti, pubblicata sulla rivista torinese L'Ordine Nuovo il 19 giugno 1921, lucida: "Casorati tende a esprimere il senso del mistero come vuoto, come assenza paurosa d'un centro vitale animatore, onde ogni cosa fatta irreale e indeterminata, e per un'apparente contraddizione [...] l'espressione di questa indeterminatezza diventa rigidit poderosa e schiacciante di forme, solidit assoluta d'architettura, alla quale la luce toglie le sfumature, per lasciar netta la materia, mentre vuota le forme d'ogni artifizio e d'ogni ornamento: recando poi nelle figure umane questi riflessi, che non alterano e non annebbiano i lineamenti con incertezza di contorni, ma velando le cose nella loro nudit, ne ottiene un isolamento tormentoso".

Le opere realizzate da Casorati nel 1918/19 esprimono una posizione antiromantica in contrasto con la cultura dominante. Questa tecnica sembra la versione pittorica antiromantica in contrasto con la cultura dominante. Questa tempera sembra la versione pittorica, quasi letterale, della definizione del Realismo magico che uno scrittore come Massimo Bontempelli ha saputo acutamente sintetizzare: "Precisione realistica di contorni, solidit di materia ben poggiata sul suolo; e intorno come un'atmosfera di magia che faccia sentire, traverso un'inquietudine intensa, quasi un'altra dimensione in cui la vita nostra si proietta". E' una scelta coraggiosa, in una citt che ancora affascinata dalla pittura ottocentesca di Fontanesi e D'Azeglio, che tributa il massimo successo collezionistico al ritrattista Giacomo Grosso. L'arcaismo solo apparente della composizione nasconde la volont di penetrare fino in fondo i valori della vita e dell'anima, in un gioco di continui rimandi tra la figura, lo spazio scenico e gli oggetti. Tutto muto e immobile. Nel 1921 Alberto Savinio afferma sulla rivista Valori plastici, nel saggio sull'Immobilit terrestre, ispiratrice delle arti plastiche, che la negazione dei concetti di tempo e di movimento insita nella natura stessa dell'uomo: "l'occhio si posa sugli oggetti con fiducia; vediamo ovunque una calma sicura e troviamo una specie di inamovibilit della natura". Sembra una descrizione sintetica di questo quadro. In questa staticit incantata anche il tempo come sospeso. Eppure la donna, il tavolo, la bottiglia, il vasellame, i muri e la fuga prospettica del pavimento, che si estende fino ad alludere ad uno spazio 'altro, non percepibile dalla vista ma intuibile, riescono a descrivere un ambiente, una situazione familiare e, con ogni probabilit, un dolore. La figura indossa un vestito sobrio ma curato: forse sta vivendo un lutto familiare. Anche l'acconciatura, una treccia raccolta a crocchia che appena suggerita nella seconda versione del dipinto - testimone di una dignit che non mai andata perduta.

Lo spazio scenico, si detto. Una donna (prima idea) , infatti, l'immagine di una rappresentazione. Lo rivelano le tende che, ai lati, inquadrano la scena come un sipario teatrale. La stessa figura femminile sembra una maschera tragica: si osservi il viso, gli occhi chiusi e la postura, che sembra naturale ma studiatissima. Anche il punto di vista frontale scelto da Casorati - cos 'moderno' - significativo: chi sta guardando la scena, fissando come un'istantanea un frammento raggelato di vita quotodiana, potrebbe essere un bambino o uno spettatore della platea di un teatro immaginario: sulla scena c' l'infinita - dolorosa e, in ultima analisi, insondabile - commedia umana. L'espediente della tenda-sipario, eliminato nella seconda versione del quadro, appare in diverse altre opere dei primi anni Venti, come per esempio La donna e l'armatura, eseguito nel 1921 e conservato nella Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino.

In questa preziosa "prima idea" la geometria e la scansione dei piani giocano un ruolo determinante e governano rigidamente, in assenza di qualunque movimento, la composizione. Ma alla ricerca spaziale si affianca sempre quella luministica. Nel 1931 Casorati, presentandosi nel catalogo della Quadriennale romana, chiarir le sue posizioni teoriche: "poich la mia pittura nasce - per cos dire - dall'interno e mai trova origine dalla mutevole impressione, ben naturale che queste forme statiche e non le mobili immagini della passione, si ritrovino nelle mie figure. [...] Per questo posso dire che l'architettura di un quadro, mi interessa pi che la sua qualit pittorica in senso stretto. [....] Cos non senza motivo, mentre tendenza generale della pittura contemporanea la ricerca dell'espressione attraverso il colore e il segno, io sento invece piuttosto il valore della forma, dei piani, dei volumi ottenuto per mezzo di un colore tonale non realistico, e insomma di quella che pu dirsi l'architettura di un quadro, in senso peraltro musicale o lirico e non decorativo e puramente formale". La fuga prospettica delle mattonelle del pavimento, rafforzata da quella del tavolo e delle quattro ciotole - vuote - allineate in un'attesa metafisica, ma anche dalla linea che unisce la spalla destra e il collo della donna, creano l'illusione della profondit. In molte opere di questi anni lo spazio delineato da un intersecarsi pi o meno fitto di linee, nell'alternanza dei quadrati chiari e scuri di un pavimento - come nel ritratto di Teresa Madinelli Veronesi, del 1918 (conservato presso la Galleria d'Arte Moderna di Verona) e in Mattino, del 1920 (collezione privata) - oppure nella decorazione di una tovaglia - come in un dipinto eseguito nel 1919, Le uova sulla tavola (collezione privata).

Un espediente tecnico, dunque, e un elemento puramente decorativo. Ma non solo. Casorati guida lo spettatore ad esplorare il luogo in cui ambientata la rappresentazione - sta accadendo qualcosa al di l di quei muri e di quelle porte? - e un raggio di luce, o come in questo caso il buio, hanno sempre un significato: lasciano intuire una finestra aperta o chiusa, la veglia o il riposo, una presenza o un'assenza, la vita o la morte. Ma, in ultima analisi, questa prospettiva fatta di quadrati anche un riferimento nascosto a Torino. Quella che de Chirico aveva descritto come la citt "pi profonda, la pi enigmatica, la pi inquietante non solo d'Italia ma di tutto il mondo", fonte d'ispirazione per le sue piazze metafisiche, nella quale Friedrich Nietzsche aveva vissuto la sua follia, per Casorati, con la sua "forma quadrata e squadrettata", l'unica in cui potessero nascere i suoi dipinti.

Casorati scrive in una lettera, al collezionista Tullio Sofia, che questa "Prima idea" "molto migliore di fattura sebbene pi sommaria e meno descrittiva" rispetto alla seconda versione. Mostra ancora qualche segno di naturalismo nella descrizione anatomica della donna e soprattutto, nell'acconciatura dei capelli. Ma la disposizione spaziale, i vuoti "presenti" su quella tovaglia bianchissima - l'audacia di nascondere una delle ciotole dietro la bottiglia e la scatola, resa con effetti chiaroscurali piuttosto che delineandone chiaramente i contorni, dietro la brocca al centro del tavolo - danno a questa composizione una forza espressiva particolare. c e il grido di quel nulla che 'riempie' la met del tavolo in modo pi compiuto - e in forma pi drammatica - di un altro oggetto.