Lot Essay
Nel 1943 Marino si trasferisce in Svizzera. Nel Canton Ticino entra in contatto con Alberto Giacometti, Germaine Richier e Fritz Wotruba, alcuni degli scultori più innovativi di quegli anni, e già l'anno successivo le opere che presenta al Kunstmuseum di Basilea, nella mostra "Quattro scultori stranieri in Svizzera", mettono in evidenza un linguaggio nuovo.
Il "Cavallo", con o senza "Cavaliere", diventa il tema dominante, ma sono numerose anche le figure femminili le "Danzatrici" e, sopratutto, le "Pomone". Forme nuove ma soggetti 'antichi': rimandano a un immaginario visivo che si perde nei secoli.
Questa "Danzatrice" mostra ancora i volumi solidi e le linee compositive compatte della produzione precedente, ma evidenzia anche una serie di novità importanti. E' nuova l'attenzione per l'elemento chiaroscurale: l'epidermide incisa permette di ottenere raffinati effetti luministici. Il corpo, dalle forme opulente, ha la caratteristica forma 'ad anfora', le linee sono arrotondate, il modellato sinuoso e morbido, i volumi pieni: Marino detestava il 'vuoto', un 'elemento' che non esiste in natura.
Nella scultura l'artista esalta il 'non finito'. Nel volto indeterminato di questa "Danzatrice", che si può solo intuire, si nasconde la fascinazione di Marino per il frammento e il reperto archeologico. Ma il 'non finito' è anche un'invenzione lirica, un modo elegante e ricercato di stimolare l'immaginazione dello spettatore.
D'altra parte la "Danzatrice" è solo apparentemente immobile. Qualche anno dopo Marco Valsecchi, nella sua presentazione della sala dedicata a Marino Marini nella Biennale del 1952, colse con straordinaria puntualità questo aspetto. La figura femminile, "poderosa di fianchi, appare interamente assorta nell'armonioso stacco delle sue curve; basta però un lieve gesto - la mossa del braccio, il flettersi di una gamba, lo scarto improvviso della testa a un clamore misterioso e alto - perchè tutta l'aria intorno ne sia ritmicamente scandita".
Il "Cavallo", con o senza "Cavaliere", diventa il tema dominante, ma sono numerose anche le figure femminili le "Danzatrici" e, sopratutto, le "Pomone". Forme nuove ma soggetti 'antichi': rimandano a un immaginario visivo che si perde nei secoli.
Questa "Danzatrice" mostra ancora i volumi solidi e le linee compositive compatte della produzione precedente, ma evidenzia anche una serie di novità importanti. E' nuova l'attenzione per l'elemento chiaroscurale: l'epidermide incisa permette di ottenere raffinati effetti luministici. Il corpo, dalle forme opulente, ha la caratteristica forma 'ad anfora', le linee sono arrotondate, il modellato sinuoso e morbido, i volumi pieni: Marino detestava il 'vuoto', un 'elemento' che non esiste in natura.
Nella scultura l'artista esalta il 'non finito'. Nel volto indeterminato di questa "Danzatrice", che si può solo intuire, si nasconde la fascinazione di Marino per il frammento e il reperto archeologico. Ma il 'non finito' è anche un'invenzione lirica, un modo elegante e ricercato di stimolare l'immaginazione dello spettatore.
D'altra parte la "Danzatrice" è solo apparentemente immobile. Qualche anno dopo Marco Valsecchi, nella sua presentazione della sala dedicata a Marino Marini nella Biennale del 1952, colse con straordinaria puntualità questo aspetto. La figura femminile, "poderosa di fianchi, appare interamente assorta nell'armonioso stacco delle sue curve; basta però un lieve gesto - la mossa del braccio, il flettersi di una gamba, lo scarto improvviso della testa a un clamore misterioso e alto - perchè tutta l'aria intorno ne sia ritmicamente scandita".