Lot Essay
Tra il '59 e il '63 Piero Dorazio dipinge i "reticoli", tutti più o meno della stessa dimensione.
Partito da un'impostazione concreta che lo lega al MAC milanese e al gruppo FORMA, Dorazio decide in un secondo momento di adottare uno stile basato sulla costruzione di "textures" variegate e di raffinata fattura dove il gioco della luce e il rigore compositivo raggiungevano effetti di sorprendente intensità.
La tela si riempie di minuscoli punti irradianti, una sorta di firmamento monocromo in cui il colore zampilla in più punti senza aggredire ma dando vita ad uno scintillio di luce che ricorda gli esperimenti con la luce e il colore di Balla, prima del 1914, e le opere neo-impressioniste di Seurat, Signac e Previati, rovesciandone tuttavia la formula pittorica: i pointillistes componevano con il punto ottenendo un disegno finale, Dorazio disegna dall'inizio una struttura con il colore ma lascia all'esecuzione un margine ampio di libertà.
Le sue tessiture hanno la purezza dei più rigorosi reticoli topografici, e assieme, (come scive Gillo Dorfles in cat. Mostra Galleria Quadrante, Firenze, marzo 1962) la finezza degli antichi ricami al tombolo.
La tela diventa un continuum di spazio-luce e i segni stessi segni-colore, lo spazio risulta allora espresso attraverso una semplice vibrazione continua di tutta la superficie, e nascono quadri in cui, grazie alla trasparenza del colore, la superficie si sdoppia in serie di superfici apparentemente sovrapposte, ognuna con la propria luce.
L'occhio dell'osservatore è in qualche modo attratto dall' "effetto microscopio" delle maglie, in questo spazio ordinato e vibrante, e può partecipare attivamente completandolo grazie alle infinite possibilità ottiche che rendono ogni giorno l'opera diversa e duttile escludendo ogni costrizione e rigidezza.
La maglia di questi reticoli presenta, a volte, una lieve imperfezione, una sorta di cesura, come il filo sbagliato che i grandi tessitori degli antichi tappeti inserivano appositamente nei loro capolavori a renderli preziosi.
Partito da un'impostazione concreta che lo lega al MAC milanese e al gruppo FORMA, Dorazio decide in un secondo momento di adottare uno stile basato sulla costruzione di "textures" variegate e di raffinata fattura dove il gioco della luce e il rigore compositivo raggiungevano effetti di sorprendente intensità.
La tela si riempie di minuscoli punti irradianti, una sorta di firmamento monocromo in cui il colore zampilla in più punti senza aggredire ma dando vita ad uno scintillio di luce che ricorda gli esperimenti con la luce e il colore di Balla, prima del 1914, e le opere neo-impressioniste di Seurat, Signac e Previati, rovesciandone tuttavia la formula pittorica: i pointillistes componevano con il punto ottenendo un disegno finale, Dorazio disegna dall'inizio una struttura con il colore ma lascia all'esecuzione un margine ampio di libertà.
Le sue tessiture hanno la purezza dei più rigorosi reticoli topografici, e assieme, (come scive Gillo Dorfles in cat. Mostra Galleria Quadrante, Firenze, marzo 1962) la finezza degli antichi ricami al tombolo.
La tela diventa un continuum di spazio-luce e i segni stessi segni-colore, lo spazio risulta allora espresso attraverso una semplice vibrazione continua di tutta la superficie, e nascono quadri in cui, grazie alla trasparenza del colore, la superficie si sdoppia in serie di superfici apparentemente sovrapposte, ognuna con la propria luce.
L'occhio dell'osservatore è in qualche modo attratto dall' "effetto microscopio" delle maglie, in questo spazio ordinato e vibrante, e può partecipare attivamente completandolo grazie alle infinite possibilità ottiche che rendono ogni giorno l'opera diversa e duttile escludendo ogni costrizione e rigidezza.
La maglia di questi reticoli presenta, a volte, una lieve imperfezione, una sorta di cesura, come il filo sbagliato che i grandi tessitori degli antichi tappeti inserivano appositamente nei loro capolavori a renderli preziosi.