Lot Essay
Firmato e datato 1591, il presente dipinto è giudicato concordemente dagli studiosi una delle opere più importanti nella produzione ritrattistica di Scipione Pulzone.
L'opera è documentata fin dal Seicento come proprietà del Cardinal Antonio Barberini nell'inventario del 1644 e in quelli post mortem del 1671 e del 1672 (cf. M. Aronberg Lavin, Seventeenth-Century Barberini. Documents and Inventories of Art, New York, 1975, pp. 166, 295, 337).
Nel 1817 l'opera risulta elencata col numero 24 tra i beni fidecommissari nella lista redatta da Vincenzo Camuccini. Poco dopo sul dipinto vennero apposti l'iscrizione 'F24' e probabilmente i due sigilli con stemma della nobile casata sul retro del telaio. A metà dell'Ottocento risulta esposto nella terza Sala della Galleria al primo piano di Palazzo Barberini alle Quattro Fontane a Roma, insieme ad altri cinque ritratti: la celebre Beatrice Cenci allora ritenuta di Guido Reni, il presunto ritratto raffigurante la sorella maggiore di Beatrice Cenci o la madre Ersilia attribuito a Caravaggio, la Fornarina di Raffaello, il Ritratto di dama di Andrea del Sarto e il Ritratto di Anna Colonna di scuola spagnola (A. Nibby, Itinerario di Roma e delle sue vicinanze, Roma, 1861, p. 269). Ciò portò a credere che il ritratto qui offerto raffigurasse Lucrezia Cenci, vedova di un Velli, che il 27 novembre 1593 sposò Francesco Cenci, divenendo la matrigna della sventurata Beatrice (A. Bertolotti, Francesco Cenci e la sua famiglia, Firenze, 1879, p. 89).
L'opera risulta conservata in Palazzo Barberini fino al 1934, quando per Decreto regio viene elencata tra i beni alienabili, col numero 23 non seguito dalla 'x', contrassegno delle opere di cui non è permessa la vendita (cf. Aronberg Lavin, op. cit., p. 716). Occorrerà attendere il 1953 per trovare in un articolo dedicato a Pulzone di Adolfo Venturi la menzione del dipinto 'già Barberini' (cfr. A. Venturi, in G. Treccani, Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, XXVIII, Roma, 1953, p. 536). Da allora l'opera è data per scomparsa nella letteratura. Il suo ritrovamento ha permesso di leggere la firma e la data '1591', erroneamente ritenuta '1594' a partire da Lancillotto Mariotti (cfr. L. Mariotti, 'Cenni su Scipione Pulzone detto Gaetano. Ritrattista', L'Arte, XXVII, 1924, pp. 37-8).
L'elegante dama è ritratta a mezza figura, in abito scuro ravvivato dal bianco dei ricami della camicia e dal copricapo di velo, da cui fuoriesce a destra un ricciolo scuro. La gentildonna dagli occhi attenti, seduta presso un piano, ha tra le mani un piccolo libro dalla legatura in velluto rosso con taglio goffrato, su cui sono dipinte scritte illeggibili. Nell'accentuazione realistica della fisionomia della donna, unita ai tratti idealizzati della sua bellezza aristocratica e alla sobria tavolozza con piccoli tocchi di rosa sugli incarnati, Pulzone mostra doti di grande ritrattista, come riconosciuto dai suoi contemporanei, tra i quali Raffaele Borghini: 'Nella medesima Città [Roma] è Scipione Pulzone da Gaeta molto eccellente nel fare i ritratti di naturale, e talmente sono da lui condotti che paion vivi. Laonde gli è bisognato ritrarre tutti i Signori principi di Roma, e tutte le belle donne' (cf. R. Borghini, Il Riposo, Firenze, 1584, a cura di M. Rosci, Milano, 1967, p. 578).
Altri esempi, datati nell'ultima decade del Cinquecento, includono i ritratti di giovani dame a mezza figura a Firenze, Galleria Palatina (uno è datato 1595), in cui, come nel presente dipinto, la qualità è altissima nella resa dei volti e degli abiti, pur se con esiti più convenzionali data la committenza di corte (A. Dern, Scipione Pulzone, Weimar, 2003, p. 172-3, nn. 63-4, figg. 79-80).
Alessandro Zuccari ha osservato a proposito dell'opera che: 'L'abbigliamento asciutto coronato dal piccolo velo diafano, il libricino delle orazioni tra le mani e lo sguardo così reattivo ricordano qualcosa di un'Annunciata, tuttavia mostrano l'emergere di una nuova concezione della società e delle persone più complessa e più consapevole dei propri limiti e delle proprie potenzialità' (cfr. A. Zuccari, in Caravaggio e il suo tempo. Museo Nazionale di Capodimonte, catalogo della mostra, Milano, 1985, pp. 170-1). Per lo Zuccari, Pulzone è qui così moderno che forse Caravaggio, presente a Roma almeno fin dall'estate del 1592, se ne ricordò nel Ritratto della cortigiana Fillide già a Berlino, Kaiser Friedrich Museum.
Del ritratto sono note una copia, di analoghe dimensioni (72 x 61 cm) a Stoccolma, Nationalmuseum (A. Dern, op. cit., p. 167 nota 168) e una seconda versione, a Vienna, collezione privata, di cui una riproduzione è conservata nella Fototeca della Biblioteca Hertziana di Roma (Idem, op. cit., pp. 168-9, n. 58).
L'opera è documentata fin dal Seicento come proprietà del Cardinal Antonio Barberini nell'inventario del 1644 e in quelli post mortem del 1671 e del 1672 (cf. M. Aronberg Lavin, Seventeenth-Century Barberini. Documents and Inventories of Art, New York, 1975, pp. 166, 295, 337).
Nel 1817 l'opera risulta elencata col numero 24 tra i beni fidecommissari nella lista redatta da Vincenzo Camuccini. Poco dopo sul dipinto vennero apposti l'iscrizione 'F24' e probabilmente i due sigilli con stemma della nobile casata sul retro del telaio. A metà dell'Ottocento risulta esposto nella terza Sala della Galleria al primo piano di Palazzo Barberini alle Quattro Fontane a Roma, insieme ad altri cinque ritratti: la celebre Beatrice Cenci allora ritenuta di Guido Reni, il presunto ritratto raffigurante la sorella maggiore di Beatrice Cenci o la madre Ersilia attribuito a Caravaggio, la Fornarina di Raffaello, il Ritratto di dama di Andrea del Sarto e il Ritratto di Anna Colonna di scuola spagnola (A. Nibby, Itinerario di Roma e delle sue vicinanze, Roma, 1861, p. 269). Ciò portò a credere che il ritratto qui offerto raffigurasse Lucrezia Cenci, vedova di un Velli, che il 27 novembre 1593 sposò Francesco Cenci, divenendo la matrigna della sventurata Beatrice (A. Bertolotti, Francesco Cenci e la sua famiglia, Firenze, 1879, p. 89).
L'opera risulta conservata in Palazzo Barberini fino al 1934, quando per Decreto regio viene elencata tra i beni alienabili, col numero 23 non seguito dalla 'x', contrassegno delle opere di cui non è permessa la vendita (cf. Aronberg Lavin, op. cit., p. 716). Occorrerà attendere il 1953 per trovare in un articolo dedicato a Pulzone di Adolfo Venturi la menzione del dipinto 'già Barberini' (cfr. A. Venturi, in G. Treccani, Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, XXVIII, Roma, 1953, p. 536). Da allora l'opera è data per scomparsa nella letteratura. Il suo ritrovamento ha permesso di leggere la firma e la data '1591', erroneamente ritenuta '1594' a partire da Lancillotto Mariotti (cfr. L. Mariotti, 'Cenni su Scipione Pulzone detto Gaetano. Ritrattista', L'Arte, XXVII, 1924, pp. 37-8).
L'elegante dama è ritratta a mezza figura, in abito scuro ravvivato dal bianco dei ricami della camicia e dal copricapo di velo, da cui fuoriesce a destra un ricciolo scuro. La gentildonna dagli occhi attenti, seduta presso un piano, ha tra le mani un piccolo libro dalla legatura in velluto rosso con taglio goffrato, su cui sono dipinte scritte illeggibili. Nell'accentuazione realistica della fisionomia della donna, unita ai tratti idealizzati della sua bellezza aristocratica e alla sobria tavolozza con piccoli tocchi di rosa sugli incarnati, Pulzone mostra doti di grande ritrattista, come riconosciuto dai suoi contemporanei, tra i quali Raffaele Borghini: 'Nella medesima Città [Roma] è Scipione Pulzone da Gaeta molto eccellente nel fare i ritratti di naturale, e talmente sono da lui condotti che paion vivi. Laonde gli è bisognato ritrarre tutti i Signori principi di Roma, e tutte le belle donne' (cf. R. Borghini, Il Riposo, Firenze, 1584, a cura di M. Rosci, Milano, 1967, p. 578).
Altri esempi, datati nell'ultima decade del Cinquecento, includono i ritratti di giovani dame a mezza figura a Firenze, Galleria Palatina (uno è datato 1595), in cui, come nel presente dipinto, la qualità è altissima nella resa dei volti e degli abiti, pur se con esiti più convenzionali data la committenza di corte (A. Dern, Scipione Pulzone, Weimar, 2003, p. 172-3, nn. 63-4, figg. 79-80).
Alessandro Zuccari ha osservato a proposito dell'opera che: 'L'abbigliamento asciutto coronato dal piccolo velo diafano, il libricino delle orazioni tra le mani e lo sguardo così reattivo ricordano qualcosa di un'Annunciata, tuttavia mostrano l'emergere di una nuova concezione della società e delle persone più complessa e più consapevole dei propri limiti e delle proprie potenzialità' (cfr. A. Zuccari, in Caravaggio e il suo tempo. Museo Nazionale di Capodimonte, catalogo della mostra, Milano, 1985, pp. 170-1). Per lo Zuccari, Pulzone è qui così moderno che forse Caravaggio, presente a Roma almeno fin dall'estate del 1592, se ne ricordò nel Ritratto della cortigiana Fillide già a Berlino, Kaiser Friedrich Museum.
Del ritratto sono note una copia, di analoghe dimensioni (72 x 61 cm) a Stoccolma, Nationalmuseum (A. Dern, op. cit., p. 167 nota 168) e una seconda versione, a Vienna, collezione privata, di cui una riproduzione è conservata nella Fototeca della Biblioteca Hertziana di Roma (Idem, op. cit., pp. 168-9, n. 58).