Lot Essay
I "buchi" di Fontana hanno un'origine pienamente spaziale.
Il loro stesso evento inventivo è di natura spaziale: non solo nascono in un'intelligenza plastica abituata a praticare lo spazio, la spazialità empirica dello spazio vissuto, dello spazio architettonico, ma nascono proprio nel momento più vivo e cruciale di tale frequenatione. Non vanno perciò intesi come elementi grafici di un arabesco della superficie pittorica. E non è un caso che i primi siano schermi bianchi, forati: il colore (cioè la pittura e la sua tradizione di seduzione sensibile e analogica) vi è escluso (49 B1,2,3). Nello spazio fisico della superficie pura, bucandola, Fontana introduce un'ulteriorità. Lo spazio non è più terreno, né prospettico, nè di pura fisica imminenza: è invece d'allusione cosmica. Non é la superficie a definire e chiudere lo spazio (appunto in senso aprospettico cubista), ma è una frattura in quella superficie ad aprire una dimensione ulteriore infinita, di spazio: il "buco" è la frattura, come lo è altrimenti il "neon" nello spazio architettonico, come lo saranno poi i "tagli" e gli "squarci", segni tutti, presenze fisiche di concetti nuovi di spazio sulla superficie tradizionale del dipinto.
E questi segni fisici, che aprono ad una dimensione infinita (e cosmica) di spazio, sono esattamente una sorta di progetto di tale ulteriore spazialità, una sorta di suo simbolo, e non una sua "rappresentazione", che non sarebbe potuta avvenire, per Fontana, se non in termini di pura spazialità aponderale, cosmica: una sorta di progetto spaziale in quanto esattamente "concetto spaziale", secondo il titolo che Fontana usa ormai costantemente, e che acquista un più preciso significato proprio alla luce delle esperienze di "conceptual art" della seconda metà degli anni Sessanta e dell'inizio dei Settanta.
Il loro stesso evento inventivo è di natura spaziale: non solo nascono in un'intelligenza plastica abituata a praticare lo spazio, la spazialità empirica dello spazio vissuto, dello spazio architettonico, ma nascono proprio nel momento più vivo e cruciale di tale frequenatione. Non vanno perciò intesi come elementi grafici di un arabesco della superficie pittorica. E non è un caso che i primi siano schermi bianchi, forati: il colore (cioè la pittura e la sua tradizione di seduzione sensibile e analogica) vi è escluso (49 B1,2,3). Nello spazio fisico della superficie pura, bucandola, Fontana introduce un'ulteriorità. Lo spazio non è più terreno, né prospettico, nè di pura fisica imminenza: è invece d'allusione cosmica. Non é la superficie a definire e chiudere lo spazio (appunto in senso aprospettico cubista), ma è una frattura in quella superficie ad aprire una dimensione ulteriore infinita, di spazio: il "buco" è la frattura, come lo è altrimenti il "neon" nello spazio architettonico, come lo saranno poi i "tagli" e gli "squarci", segni tutti, presenze fisiche di concetti nuovi di spazio sulla superficie tradizionale del dipinto.
E questi segni fisici, che aprono ad una dimensione infinita (e cosmica) di spazio, sono esattamente una sorta di progetto di tale ulteriore spazialità, una sorta di suo simbolo, e non una sua "rappresentazione", che non sarebbe potuta avvenire, per Fontana, se non in termini di pura spazialità aponderale, cosmica: una sorta di progetto spaziale in quanto esattamente "concetto spaziale", secondo il titolo che Fontana usa ormai costantemente, e che acquista un più preciso significato proprio alla luce delle esperienze di "conceptual art" della seconda metà degli anni Sessanta e dell'inizio dei Settanta.