Alessandro Marchesini (Verona 1664-1738)
Alessandro Marchesini (Verona 1664-1738)

Sacrificio d'Ifigenia (Ifigenia in Aulide); e Ifigenia in Tauride

Details
Alessandro Marchesini (Verona 1664-1738)
Sacrificio d'Ifigenia (Ifigenia in Aulide); e Ifigenia in Tauride
olio su tela, entro cornici intagliate e dorate
99.5 x 114.3 cm. (2)
Provenance
reca sigillo in ceralacca raffigurante un'aquila (sul retro).
Venezia, collezione Baglioni.

Lot Essay

Le due tele narrano episodi legati al mito di Ifigenia. Nella prima delle due tele si narra la storia di Ifigenia, figlia di Agamennone, re di Micene, così come è raccontata da Euripide nella tragedia 'Ifigenia in Aulide' e come è tramandata da Ovidio nelle Metamorfosi (XII, 25-28). Per propiziarsi gli dei, contrariati dall'uccisione di un cervo sacro ad Artemide (Diana), e ottenere così il favore dei venti per la propria flotta radunata in Aulide per andare a combattere Troia, Agamennone sceglie di offrire in sacrificio la propria figlia Ifigenia. Il mito vuole che Artemide, impietositasi, all'ultimo momento intervenisse sostituendo alla fanciulla un cervo, che qui si vede sull'ara sacrificale al centro della scena. Alla sua destra, coronato d'alloro, è lo sgomento sacerdote Calcante alle spalle del quale s'intravede il coronato e pensoso re miceneo. In primo piano è la regina Clitemnestra che volge il capo altrove nel dolore per la figlia. Quest'ultima è sollevata da un'ancella della dea cacciatrice che l'attende più in alto tra un coro di nubi e amorini. In lontananza svettano alla rada le floscie vele dei legni degli Achei.

Il suo pendant racconta del proseguio dello mito di Ifigenia e prende le mosse dall'omonima tragedia di Euripide. Scampata all'accetta di Calcante, la fanciulla di stirpe reale si vede relegata dalla dea che la aveva salvata in Tauride. Qui è costretta ad officiare come sacerdotessa al tempio di Artemide al rito cruento del sacrificio d'ogni straniero che ivi sbarcasse. Alla sinistra della tela sono infatti raffigurati due prigionieri incatenati sotto la guardia d'uno sgherro armato di scure. Questi sono Pilade e Oreste, fratello di Ifigenia, che era giunto col fratello adottivo in Tauride nel tentativo di rubare una statua sacra di Artemide da portare ad Atene su incarico di Apollo. Il furto, se riuscito, lo avrebbe liberato dal tormento della follia a cui era condannato dalle Erinni per via dell'uccisione della madre Clitemnestra (delitto commesso per vendicare l'uccisione del padre Agamennone). La storia, un pò complessa come ci si attende da una tragedia greca, volge però a lieto fine. I due fratelli si riconoscono e architettano la fuga con la complicità di Atena riuscendo anche a sottrarre al tempio la celebre statua di Artemide. E una volta a casa Ifigenia si sposa con Pilade.

Le due tele si apparentano alle non molte opere conosciute del Marchesini (si vedano tra tutte, ad esempio, le due tele in Collezione Molinari Pradelli, rese note dal Miller nel 1967) che all'attività di pittore sovrappone sempre più spesso a partire dal suo trasferimento a Venezia agli inizi del Settecento l'attività, evidentemente più remunerativa, di mediatore e copista. Con questi ruoli collabora proficuamente col mercato avendo come committenti, tra gli altri, Lothar Franz von Schoenborn, il lucchese Stefano Conti ed il veneziano Giovanni Battista Baglioni. A queste due ultime figure si intreccia quindi la vicenda intrigante della commissione delle due opere in esame. Dal Conti, ricco col commercio della seta, Marchesini riceve l'incarico di costituire ex novo una collezione di quadri 'moderni', che finirà col raggiungere il ragguardevole numero di quasi cento pezzi (F. Zava Boccazzi, I veneti nella Galleria Conti di Lucca (1704-1707), in 'Saggi e Memorie di Storia dell'Arte', XVII, 1990, pp. 109-152). Il ruolo del veronese è quello, poliedrico, di selezionatore di artisti e di soggetti dipinti (perlopiù 'quadri istoriati') così come di organizzatore d'ogni cosa, dall'imballo alla collazione del carteggio intrattenuto coi pittori coinvolti nell'impresa. Una commessa identica gli venne anche attorno al 1705 da parte del Baglioni, erede di una tradizione tipografica, che nell'arco della vita finì per accumulare una raccolta di oltre cento tele, cinque delle quali di mano del Marchesini. Tra queste, nell'inventario redatto post mortem nel 1787 dai pittori Giacomo Marieschi e Domenico Maggiotto e pubblicato da C.A. Levi (Le collezioni veneziane d'arte e d'antichità dal XVI secolo ai giorni nostri, Venezia, 1900, pp. 252-4), figurano un Effigenia sacrificio e Altra favola che potrebbero, verosimilmente, identificarsi con le tele in esame. La supposizione è corroborata anche da un particolare tutt'altro che secondario: le cornici. Dallo spoglio dei carteggi intrattenuti col Baglioni sappiamo, infatti, che Marchesini dipinse per il veneziano un pendant per una tela di Solimena, e alla cornice di quel dipinto Marchesini fa riferimento quando suggerisce al Conti un modello di cornice da fare eseguire per i quadri della sua raccolta. Così scrive: 'Per quanto poi delle quattro soaze (cornici) m'impegno di farla servire bene e da primi maestri avendoli esperimentati in occasione che feci un quadro per accompagnare un altro del Solimena per Ca' Baglioni... e per l'intaglio e per l'indoratura farò far cose bellissime, di larghezza proporzionata alle pitture' (Autografoteca Campori, Modena, Biblioteca Estense, f. Marchesini, foglio 163). Più tardi Marchesini invia una seconda missiva a cui allega 'il disegnetto (di proprio pugno), col suo profilo' della cornice indicata e che qui si riproduce. Il confronto con le cornici delle due tele in esame, dovrebbe bastare a togliere ogni dubbio circa la loro originaria provenienza.