Lot Essay
Tancredi conosce Peggy Guggenheim nel 1952. Questa data segna una tappa fondamentale nella vita dell'artista: la collezionista e mecenate statunitense non solo gli permetterà di utilizzare uno studio nel Palazzo Venier dei Leoni in cui abitava, ma soprattutto lo farà entrare in contatto con gli artisti d'avanguardia e i critici stranieri che essa stessa all'epoca frequentava.
La permanenza a Palazzo Venier dei Leoni durerà poco e il rapporto con la Guggenheim resterà tempestoso, ma l'aggiornamento e il confronto con le esperienze internazionali avranno un effetto determinante sull'artista appena venticinquenne. Il suo linguaggio maturerà con rapidità, liberandosi dalle chiusure e dal provincialismo che bloccavano l'evoluzione della maggior parte degli artisti suoi coetanei. La possibilità di misurarsi direttamente con l'opera di artisti della statura di Pollock, Tobey, Riopelle, Sam Francis mette Tancredi in grado di affrontare precocemente la ribalta internazionale. In questa prospettiva vanno ricordate la presenza di opere dell'artista in alcune collezioni americane (grazie ancora una volta all'appoggio di Peggy Guggenheim), ma soprattutto le esposizioni personali a New York e Londra già nel 1958, avvenimenti che non rappresentavano certamente la norma per un giovane artista italiano.
Il quadro che presentiamo è proprio uno di quelli scelti da Tancredi per l'esposizione alla Hanover Gallery di Londra nel 1958 e appartiene allo straordinario ciclo contrassegnato dalla presenza della parola Natura nel titolo. Per ogni pittore la natura si esprime e diventa visibile attraverso luce e colore, e quello che colpisce in questo dipinto è proprio la luminosità radiosa e la ricchezza inesauribile della tavolozza. Siamo di fronte a un vero catalogo di colori primaverili ed estivi, dominato da gialli, rossi, arancio, azzurri, verdi su un luminoso fondo di bianchi. Nel dipnto ci appare una vera e propria esplosione luminosa in cui Tancredi riesce a ottenere il principale obiettivo della ricerca sul colore dei pittori moderni: dagli impressionisti ai divisionisti, dai Fauves ad alcuni informali i pittori hanno sempre cercato di accostare colori puri e decisi in modo che, posti a contrasto, si rafforzassero a vicenda, senza però confondersi e impastarsi. Quest'opera condivide con altre di questi anni anno un aspetto festoso e ottimista che contrasta sorprendentemente con le successive tragiche vicende dell'artista.
Tancredi quindi si immerge, in questa serie di dipinti, nella natura riproponendone fiduciosamente (e anzi potenziandone) tutta la ricchezza visiva; la visione che emerge è quasi panteista (è da ricordare che Tancredi nel 1952 aveva abiurato dalla religione cattolica per protesta contro la censura esercitata dalla Chiesa cattolica nei confronti di alcune espressioni artistiche). L'aspetto predominante non è però quello ideologico ma decisamente quello pittorico. La struttura spaziale è dominata da un centro a partire dal quale i colori si irradiano: le zone di colore sono più fitte all'interno, mentre si allargano leggermente verso i margini della tela. Tancredi riceve e fa propria la concezione degli americani per cui le aree della tela hanno tutte pari importanza e devono ricevere la stessa attenzione, ma conserva fondamentalmente una precisa organizzazione spaziale, tipica della tradizione europea.
La permanenza a Palazzo Venier dei Leoni durerà poco e il rapporto con la Guggenheim resterà tempestoso, ma l'aggiornamento e il confronto con le esperienze internazionali avranno un effetto determinante sull'artista appena venticinquenne. Il suo linguaggio maturerà con rapidità, liberandosi dalle chiusure e dal provincialismo che bloccavano l'evoluzione della maggior parte degli artisti suoi coetanei. La possibilità di misurarsi direttamente con l'opera di artisti della statura di Pollock, Tobey, Riopelle, Sam Francis mette Tancredi in grado di affrontare precocemente la ribalta internazionale. In questa prospettiva vanno ricordate la presenza di opere dell'artista in alcune collezioni americane (grazie ancora una volta all'appoggio di Peggy Guggenheim), ma soprattutto le esposizioni personali a New York e Londra già nel 1958, avvenimenti che non rappresentavano certamente la norma per un giovane artista italiano.
Il quadro che presentiamo è proprio uno di quelli scelti da Tancredi per l'esposizione alla Hanover Gallery di Londra nel 1958 e appartiene allo straordinario ciclo contrassegnato dalla presenza della parola Natura nel titolo. Per ogni pittore la natura si esprime e diventa visibile attraverso luce e colore, e quello che colpisce in questo dipinto è proprio la luminosità radiosa e la ricchezza inesauribile della tavolozza. Siamo di fronte a un vero catalogo di colori primaverili ed estivi, dominato da gialli, rossi, arancio, azzurri, verdi su un luminoso fondo di bianchi. Nel dipnto ci appare una vera e propria esplosione luminosa in cui Tancredi riesce a ottenere il principale obiettivo della ricerca sul colore dei pittori moderni: dagli impressionisti ai divisionisti, dai Fauves ad alcuni informali i pittori hanno sempre cercato di accostare colori puri e decisi in modo che, posti a contrasto, si rafforzassero a vicenda, senza però confondersi e impastarsi. Quest'opera condivide con altre di questi anni anno un aspetto festoso e ottimista che contrasta sorprendentemente con le successive tragiche vicende dell'artista.
Tancredi quindi si immerge, in questa serie di dipinti, nella natura riproponendone fiduciosamente (e anzi potenziandone) tutta la ricchezza visiva; la visione che emerge è quasi panteista (è da ricordare che Tancredi nel 1952 aveva abiurato dalla religione cattolica per protesta contro la censura esercitata dalla Chiesa cattolica nei confronti di alcune espressioni artistiche). L'aspetto predominante non è però quello ideologico ma decisamente quello pittorico. La struttura spaziale è dominata da un centro a partire dal quale i colori si irradiano: le zone di colore sono più fitte all'interno, mentre si allargano leggermente verso i margini della tela. Tancredi riceve e fa propria la concezione degli americani per cui le aree della tela hanno tutte pari importanza e devono ricevere la stessa attenzione, ma conserva fondamentalmente una precisa organizzazione spaziale, tipica della tradizione europea.