Lot Essay
Non lascia spazio ad ambiguità o a false speranze il titolo, duro e preciso nella sua oggettività disadorna, con cui Gerolamo Induno volle presentare all'Accademia di Brera il più importante dei dipinti eseguiti al ritorno dalla sanguinosa difesa di Roma nel 1849, e con cui oggi, a più di centocinquant'anni dalla sua prima fugace apparizione, possiamo presentarlo di nuovo, contro ogni possibile aspettativa di quanti, scrivendone, lo ritenevano per sempre perduto.
Un titolo volutamente (ed insolitamente) sobrio, peraltro, certo per non sottolineare, nella Milano nuovamente sottoposta al dominio austriaco, la passione civile che lo aveva ispirato e che, nella fanciulla esanime nella povera stanza devastata, voleva alludere alla 'Roma ferita al cuore' a seguito dei sanguinosi fatti d'arme a cui l'artista stesso aveva preso parte, a rischio della vita. E se, per questi motivi, la 'Gazzetta di Milano' accolse con qualche riserva il dipinto esposto a Brera nel 1850, ben più entusiasta e partecipe fu invece la recensione di Tullio Massarani uscita nel 1852, illustrata da un'incisione di Zimbelli che riproduceva il dipinto rimanendone, fino ad oggi, l'unico documento.
E' ancora questa incisione a consentire l'identificazione di un acquarello preparatorio, già nella raccolta di Angela Gavazzi Marezza, e di quattro straordinari disegni, un tempo raccolti nell'Album Litta, presentati nel 1984 dalla galleria Salamon Agustoni Algranti, con il commento di Ferdinando Mazzocca. I quattro studi, tutti a carboncino e biacca su carta paglierina, consentono di ricostruire la meditata gestazione del dipinto, dalla scena d'insieme dove l'ambiente sembra prevalere sulla figura della protagonista, di più esigue proporzioni, alla ricerca delle possibili varianti, fino alla soluzione definitiva per la figura della giovinetta abbandonata nel sonno della morte. Un'immagine, questa, che nella sua armoniosa compostezza sembra quasi evocare la raffigurazione canonica di giovani martiri cristiane e forse, più precisamente, quella di un'altra e più antica 'trasteverina', la Santa Cecilia scolpita da Stefano Maderno per la chiesa omonima, appunto in Trastevere. E se, ai nostri occhi, la raffigurazione di questa morte improvvisa e violenta appare ben poco realistica nella sua pacata eleganza, non c'è dubbio che l'artista intendesse esprimere, in questo dipinto di così forte valenza simbolica, la medesima commozione che, negli stessi anni o appena prima, aveva distinto le opere del fratello Domenico: pensiamo ad esempio al tragico Episodio del diluvio del 1844, dove il dolore sbigottito della fanciulla scampata alle acque accanto al corpo di una sorella sfortunata, quasi una moderna Pietà, non può non ricordare la manzoniana 'madre di Cecilia'.
E' in ogni caso sorprendente, e in qualche misura spiazzante, trovare in questo ruolo drammatico la giovane donna in costume popolare (identificata per l'appunto come ciociara nel catalogo dell'esposizione torinese) che siamo abituati a conoscere come protagonista di scene di genere senza tempo, ma sempre e inevitabilmente liete, oppure quale moderna incarnazione della bellezza classica romana, dalla Fornarina in poi. Non c'è dubbio che in questa scelta Induno intendesse rendere testimonianza degli eventi a cui aveva preso parte nella sfortunata difesa della città dai Francesi: una difesa a cui il popolo, e in particolare quello di Trastevere, aveva partecipato con coraggio e passione, riscattando per breve tempo il suo immobilismo senza prospettive, e pagando alla fine un prezzo sanguinoso.
Un titolo volutamente (ed insolitamente) sobrio, peraltro, certo per non sottolineare, nella Milano nuovamente sottoposta al dominio austriaco, la passione civile che lo aveva ispirato e che, nella fanciulla esanime nella povera stanza devastata, voleva alludere alla 'Roma ferita al cuore' a seguito dei sanguinosi fatti d'arme a cui l'artista stesso aveva preso parte, a rischio della vita. E se, per questi motivi, la 'Gazzetta di Milano' accolse con qualche riserva il dipinto esposto a Brera nel 1850, ben più entusiasta e partecipe fu invece la recensione di Tullio Massarani uscita nel 1852, illustrata da un'incisione di Zimbelli che riproduceva il dipinto rimanendone, fino ad oggi, l'unico documento.
E' ancora questa incisione a consentire l'identificazione di un acquarello preparatorio, già nella raccolta di Angela Gavazzi Marezza, e di quattro straordinari disegni, un tempo raccolti nell'Album Litta, presentati nel 1984 dalla galleria Salamon Agustoni Algranti, con il commento di Ferdinando Mazzocca. I quattro studi, tutti a carboncino e biacca su carta paglierina, consentono di ricostruire la meditata gestazione del dipinto, dalla scena d'insieme dove l'ambiente sembra prevalere sulla figura della protagonista, di più esigue proporzioni, alla ricerca delle possibili varianti, fino alla soluzione definitiva per la figura della giovinetta abbandonata nel sonno della morte. Un'immagine, questa, che nella sua armoniosa compostezza sembra quasi evocare la raffigurazione canonica di giovani martiri cristiane e forse, più precisamente, quella di un'altra e più antica 'trasteverina', la Santa Cecilia scolpita da Stefano Maderno per la chiesa omonima, appunto in Trastevere. E se, ai nostri occhi, la raffigurazione di questa morte improvvisa e violenta appare ben poco realistica nella sua pacata eleganza, non c'è dubbio che l'artista intendesse esprimere, in questo dipinto di così forte valenza simbolica, la medesima commozione che, negli stessi anni o appena prima, aveva distinto le opere del fratello Domenico: pensiamo ad esempio al tragico Episodio del diluvio del 1844, dove il dolore sbigottito della fanciulla scampata alle acque accanto al corpo di una sorella sfortunata, quasi una moderna Pietà, non può non ricordare la manzoniana 'madre di Cecilia'.
E' in ogni caso sorprendente, e in qualche misura spiazzante, trovare in questo ruolo drammatico la giovane donna in costume popolare (identificata per l'appunto come ciociara nel catalogo dell'esposizione torinese) che siamo abituati a conoscere come protagonista di scene di genere senza tempo, ma sempre e inevitabilmente liete, oppure quale moderna incarnazione della bellezza classica romana, dalla Fornarina in poi. Non c'è dubbio che in questa scelta Induno intendesse rendere testimonianza degli eventi a cui aveva preso parte nella sfortunata difesa della città dai Francesi: una difesa a cui il popolo, e in particolare quello di Trastevere, aveva partecipato con coraggio e passione, riscattando per breve tempo il suo immobilismo senza prospettive, e pagando alla fine un prezzo sanguinoso.