Lot Essay
Il 1950 apre per Renato Birolli un decennio complesso e articolato, segnato da esperienze significative e dal completo raggiungimento della sua maturità espressiva tanto teorica quanto pittorica. In quegli anni si intensificano i rapporti con Afro, Corpora, Turcato e Vedova e gli altri artisti assieme ai quali parteciperà alle esperienze astratto-espressioniste del Gruppo degli Otto, sotto la guida di Lionello Venturi. Gli anni Cinquanta sono segnati da moltissime occasioni espositive, tra le quali si ricordano la partecipazione alla XXVII Biennale e la mostra personale presso la Galleria Catherine Viviano di New York presentata dallo stesso Venturi.
Nell'estate del 1950 l'artista approda a Fosso Sejore, un paese delle Marche, situato fra Pesaro e Fano, dove si intensifica la ricerca di una nuova relazione con la natura ed il paesaggio, della quale l'opera in questione rappresenta una dimostrazione indicativa. A Fosso Sejore Birolli, come documentato nei Taccuini delle Marche, approfondisce il suo dialogo con la natura e le sue riflessioni si fanno sempre più profonde tanto nella forma quanto nella poetica. "È qui che Birolli scopre l'espansione della natura, della storia, l'umanizzazione del paesaggio, che sperimenta l'autonomia della realtà del pittore come un modello di conoscenza." È un periodo segnato da un vero e proprio ampliamento di orizzonti, così come testimonia la cospicua serie di schizzi, appunti e disegni che l'artista esegue contemplando il paesaggio marchigiano ed i personaggi che lo popolano. Particolarmente significativo, ai fini di comprendere l'influenza che lo scenario naturale marchigiano riveste in questa precisa fase della carriera dell'artista, è la lettura di alcuni passi tratti dai Taccuini, importanti scritti di poetica e di riflessione attraverso cui Birolli registra pedissequamente le sue riflessioni teoriche. Leggendo questi versi ed osservando i lavori di questo periodo è evidente come il rapporto di Birolli con la natura sia del tutto personale. Egli infatti, si dimostra lontanissimo dal volerne rendere una dimensione realistica: occorre riformulare il pensiero sulla natura. "La natura lì a dirci che potremmo senza timore reputarci più liberi e soprattutto più variati nei movimenti interni. Un muro tra siepi verde cobalto chiaro e viola. Più in là è bianco o rosa appena rosa. E noi duri, fermi alle posizioni conquistate, come se diventar viola fosse una colpa o facesse scandalo" (Renato Birolli, Taccuino VI, 22, settembre 1936).
"Il quadro non sarà mai specchio della natura, ma appropriazione e ricreazione di questa in termini di esigenza personale. È un dare-avere perché l'impossessarsi sensuale della natura riceve da questa un tono di visionarietà e un segno di simbolo che ne dilata il significato"(R. Birolli, M. Birolli, Z. Birolli, R. Sambonet, Renato Birolli, Milano 1978. p. 18)
Nell'estate del 1950 l'artista approda a Fosso Sejore, un paese delle Marche, situato fra Pesaro e Fano, dove si intensifica la ricerca di una nuova relazione con la natura ed il paesaggio, della quale l'opera in questione rappresenta una dimostrazione indicativa. A Fosso Sejore Birolli, come documentato nei Taccuini delle Marche, approfondisce il suo dialogo con la natura e le sue riflessioni si fanno sempre più profonde tanto nella forma quanto nella poetica. "È qui che Birolli scopre l'espansione della natura, della storia, l'umanizzazione del paesaggio, che sperimenta l'autonomia della realtà del pittore come un modello di conoscenza." È un periodo segnato da un vero e proprio ampliamento di orizzonti, così come testimonia la cospicua serie di schizzi, appunti e disegni che l'artista esegue contemplando il paesaggio marchigiano ed i personaggi che lo popolano. Particolarmente significativo, ai fini di comprendere l'influenza che lo scenario naturale marchigiano riveste in questa precisa fase della carriera dell'artista, è la lettura di alcuni passi tratti dai Taccuini, importanti scritti di poetica e di riflessione attraverso cui Birolli registra pedissequamente le sue riflessioni teoriche. Leggendo questi versi ed osservando i lavori di questo periodo è evidente come il rapporto di Birolli con la natura sia del tutto personale. Egli infatti, si dimostra lontanissimo dal volerne rendere una dimensione realistica: occorre riformulare il pensiero sulla natura. "La natura lì a dirci che potremmo senza timore reputarci più liberi e soprattutto più variati nei movimenti interni. Un muro tra siepi verde cobalto chiaro e viola. Più in là è bianco o rosa appena rosa. E noi duri, fermi alle posizioni conquistate, come se diventar viola fosse una colpa o facesse scandalo" (Renato Birolli, Taccuino VI, 22, settembre 1936).
"Il quadro non sarà mai specchio della natura, ma appropriazione e ricreazione di questa in termini di esigenza personale. È un dare-avere perché l'impossessarsi sensuale della natura riceve da questa un tono di visionarietà e un segno di simbolo che ne dilata il significato"(R. Birolli, M. Birolli, Z. Birolli, R. Sambonet, Renato Birolli, Milano 1978. p. 18)