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Details
QUASIMODO, Salvatore (1901-1968). l'estrema stagione del grande poeta siciliano, Premio Nobel per la Letteratura del '59. A Milano, dove vive da decenni, ha dal '63 intrecciato una relazione con una donna "bellissima e di sangue emiliano" (come la definisce lui stesso in una delle lettere che le invia), Curzia Ferrari. Donna calorosa, persino perturbante nei suoi slanci. Quasimodo ha superato i sessant'anni, ma sempre stato un uomo passionale. La loro relazione ha qualcosa di vorticoso, di trascinante (in una lettera si legge: "spero di tornare pi forte e pi amante del nostro sangue"; e precisa: "Terribile pauroso sangue che ci lascia ad ogni incontro pi segni dei segni dell'anima"; in un'altra lettera scrive: "io ritorno forte ogni volta che posso passare il fresco attraverso il tuo corpo"; e ancora: "penso al tuo corpo di fuoco che si sveglia al mio urto continuo"). Da questo agone di corpo e di anima, il poeta si sente rivitalizzato, a tratti; altre volte, invece, avverte un senso di esaurimento, di spossatezza. Nell'ultima raccolta poetica che Quasimodo avr modo di licenziare, Dare e avere (1966), questo senso di duplice vertigine assai ben visibile. Fatto sta che gli ultimi anni della sua vita (specie quelli dal '65 al '67) sono segnati da questo amore violento. Un amore che, durante il lungo inverno padano, si snoda indisturbato per le vie della grande citt, punteggiato da interminabili telefonate; ma che in estate deve interrompersi, preda delle circostanze esterne. Da sempre Quasimodo passa le sue vacanze estive in Liguria, fra Varazze e Loano, dove ha modo di ricevere postulanti e partecipare alla fiera effimera, crudele e diversa, dei premi letterari. Lei, Curzia, invece legata, da vincoli famigliari e di "facciata", a mantenere la propria residenza di vacanza in montagna, a Madonna di Campiglio. Inizia cos un epistolario curiosamente intermittente, che segue rigorosamente la scansione calendariale; l'estate dunque il tempo della scrittura: e di contatti fuggevoli, clandestini, attentamente programmati e "contrattati" dai due amanti in una serie interminabile e stremante di messaggi ai limiti del cifrato. Spesso dopo due o tre messaggi di accurata, progressiva approssimazione, per qualche motivo il rendez vous falliva. E la tensione ingenerata dalla separazione forzata non migliorava certo le cose, anzi.
Nelle ventinove lettere autografe firmate del poeta (si aggiungono tre telegrammi), tutte (tranne una, di due pagine 4o) di una pagina, per lo pi 4o (pi raramente 8o) e tutte altres accompagnate dalla busta con indirizzo autografo, nonch spessissimo scritte su carta intestata dei vari alberghi liguri di residenza del poeta, si articola cos per intero questa vicenda di insoddisfatta passione, di altalenante incertezza, di brevi furiosi clamorosi slanci di conseguimento. Quasimodo evita, se pu, il registro letterario; vuole mettersi il pi possibile a nudo; se usa metafore e immagini "poetiche" (come spesso fa, come si vedr, per descrivere l'abbattimento della solitudine meridiana), tenta di essiccarle il pi possibile. La letteratura , com' naturale che avvenga in circostanze come questa, lo spettro da esorcizzare, da battere continuamente in breccia. Eloquente per esempio la lettera del 24 luglio 1967: "La nostra pace nell'agitazione, il nostro silenzio nei baci". Poi si affretta, in freudiana negazione, a precisare: "Non invidio quelli che Catullo dava a Lesbia. Ritmi e suoni letterari. I nostri", conclude con affrettata sicumera, "sono veri, golosi". Ma questi baci vivono desolatamente sulla carta. Come ben sapeva quello che stato forse il pi grande epistolografo del Novecento, Franz Kafka, i baci mandati per lettera se li ruba tutti un oscuro demone che aleggia fra gli amanti lontani. La stessa frequenza ravvicinata dei messaggi ingenera il sospetto del (preterintenzionale) formulario, e cos anche (soprattutto) la misura standard, perfettamente calibrata nello specchio del foglio in 4o...
La storia, come detto, inizia nel '63. O comunque al 21 luglio 1963 datata la prima delle lettere presenti, non per caso l'unica spedita da Milano; qui che si spiegano le circostanze per le quali l'epistolario manterr in seguito la sua cadenza tutta estiva: "Curzia sui monti, io in una insenatura profondissima": il poeta si rappresenta - non a caso facendo ricorso a una citazione - come "'un punto acerbo' che pensa agli affetti, al corpo scivolato via ad una fermata di tram". Nelle prime lettere l'ambientazione inconsueta, trascolorante (Quasimodo scrive dai suoi viaggi pi esotici: dalla Norvegia nell'estate del '63, dal Messico nell'ottobre del '64: "Aqui Mexico. Verr prestissimo. Tu ci sei. Nella parabola del mio pensiero. Aqui Curzia"); oppure congiunturalmente pi familiare (la lettera del 27 maggio 1965 da Messina, "sul Bosforo siciliano"; nella successiva, del giorno dopo e dallo stesso luogo, si legge: "Tu bruna e bruciante nell'attesa 'guardi' questo mio silenzio da una terra lontanissima", un paio da una villa di amici a Orta: qui si trovano curiose lettere scritte dal profondo di un bosco: "ho pensato di scriverti due parole seduto sul tronco d'un albero abbattuto dal fulmine"), ma a partire dall'estate del '66 si codifica uno status quo che permarr sino all'ultima missiva, datata Varazze, 17 agosto 1967: Quasimodo affossato nella sua "insenatura profondissima" in Liguria, e si rivolge a voce clamante alle altezze superne nelle quali sprofondata la sua Curzia irraggiungibile. L'estate ligure, secca e riarsa, ma al tempo stesso ventosa e salmastra, appare quasi uno scherzo del destino: le atmosfere delle descrizioni di Quasimodo ricordano inevitabilmente versi remoti del suo grande rivale, scottatissimo dal suo Nobel (che a sua volta peraltro ricever tra una decina d'anni), Eugenio Montale... Le ultime di Quasimodo si configurano dunque come quella annunciata dalla lettera sera del 19 luglio [1966]: "penso che sar un'estate 'lontanissima', astratta". I problemi contingenti si aggravano alla fine di luglio del '66, quando Quasimodo comincia ad avvertire con maggiore fastidio i problemi cardiaci che finiranno per essergli fatali ("il tempo autunnale influisce anche sui miei 'battiti' un po' confusi", scrive il 26.7.1966; e due giorni dopo: "Ogni volta le 'crisi' si sono fermate alla soglia. Dicono. Ma chi pu crederlo? Comunque, vedremo"; il 2.8.1967: "da un cardiologo [...] Questa anche una presenza che mi ricorda la 'giornata provvisoria'"). Ma sulla nota crudele della separazione che la scrittura ribatte ossessiva (3.8.1966: "Il mio amore lo tengo nella stretta del ricordo: tenero e violento"; 30.7.1967: "Cattiva sorte il tempo che si rotola piano senza un soffio di piet per me"). Ogni riapparizione dell'amata si tinge sempre pi dell'amarezza di un distacco imminente, che forse non dipender dalla volubilit degli accordi umani: "finalmente la tua voce dopo onde e onde di silenzio", scrive nell'ultima lettera Quasimodo (il 17.8.1967): "Fra pochi giorni ti avr. Non so pi nulla". Il congedo definitivo, il poeta lo presagisce, ormai prossimo: e stende un'ombra maligna sulla felicit passata. Come sempre fa, del resto: "Questa assenza stata piena di reticolati e d'insidie, di velluti e di pugnali".
Quasimodo, poeta per eccellenza mediterraneo (dall'esordio di Acque e terre: 1930...), ha incontrato in una sorta di casuale e climaterico demone meridiano il suo ultimo fervore di passione. Sono, questi della separazione e dell'amor forzatamente de lonh, "i giorni del Leone", come li chiama il poeta. Il quale sotto il segno del Leone era nato (a Modica, in un'altra terra riarsa) il 20 d'agosto del 1901; e morir (a Napoli) il 14 giugno del '68, un mese prima dell'avvento zodiacale fatale. In questo magnifico epistolario d'amore si consuma fiammeggiante, e sfiorisce malinconica a ogni sempre troppo precoce "spezzarsi" dell'estate, dunque, l'ultima stagione del Leone di quello che senza dubbio stato un grande leone della poesia. (32)
Nelle ventinove lettere autografe firmate del poeta (si aggiungono tre telegrammi), tutte (tranne una, di due pagine 4o) di una pagina, per lo pi 4o (pi raramente 8o) e tutte altres accompagnate dalla busta con indirizzo autografo, nonch spessissimo scritte su carta intestata dei vari alberghi liguri di residenza del poeta, si articola cos per intero questa vicenda di insoddisfatta passione, di altalenante incertezza, di brevi furiosi clamorosi slanci di conseguimento. Quasimodo evita, se pu, il registro letterario; vuole mettersi il pi possibile a nudo; se usa metafore e immagini "poetiche" (come spesso fa, come si vedr, per descrivere l'abbattimento della solitudine meridiana), tenta di essiccarle il pi possibile. La letteratura , com' naturale che avvenga in circostanze come questa, lo spettro da esorcizzare, da battere continuamente in breccia. Eloquente per esempio la lettera del 24 luglio 1967: "La nostra pace nell'agitazione, il nostro silenzio nei baci". Poi si affretta, in freudiana negazione, a precisare: "Non invidio quelli che Catullo dava a Lesbia. Ritmi e suoni letterari. I nostri", conclude con affrettata sicumera, "sono veri, golosi". Ma questi baci vivono desolatamente sulla carta. Come ben sapeva quello che stato forse il pi grande epistolografo del Novecento, Franz Kafka, i baci mandati per lettera se li ruba tutti un oscuro demone che aleggia fra gli amanti lontani. La stessa frequenza ravvicinata dei messaggi ingenera il sospetto del (preterintenzionale) formulario, e cos anche (soprattutto) la misura standard, perfettamente calibrata nello specchio del foglio in 4o...
La storia, come detto, inizia nel '63. O comunque al 21 luglio 1963 datata la prima delle lettere presenti, non per caso l'unica spedita da Milano; qui che si spiegano le circostanze per le quali l'epistolario manterr in seguito la sua cadenza tutta estiva: "Curzia sui monti, io in una insenatura profondissima": il poeta si rappresenta - non a caso facendo ricorso a una citazione - come "'un punto acerbo' che pensa agli affetti, al corpo scivolato via ad una fermata di tram". Nelle prime lettere l'ambientazione inconsueta, trascolorante (Quasimodo scrive dai suoi viaggi pi esotici: dalla Norvegia nell'estate del '63, dal Messico nell'ottobre del '64: "Aqui Mexico. Verr prestissimo. Tu ci sei. Nella parabola del mio pensiero. Aqui Curzia"); oppure congiunturalmente pi familiare (la lettera del 27 maggio 1965 da Messina, "sul Bosforo siciliano"; nella successiva, del giorno dopo e dallo stesso luogo, si legge: "Tu bruna e bruciante nell'attesa 'guardi' questo mio silenzio da una terra lontanissima", un paio da una villa di amici a Orta: qui si trovano curiose lettere scritte dal profondo di un bosco: "ho pensato di scriverti due parole seduto sul tronco d'un albero abbattuto dal fulmine"), ma a partire dall'estate del '66 si codifica uno status quo che permarr sino all'ultima missiva, datata Varazze, 17 agosto 1967: Quasimodo affossato nella sua "insenatura profondissima" in Liguria, e si rivolge a voce clamante alle altezze superne nelle quali sprofondata la sua Curzia irraggiungibile. L'estate ligure, secca e riarsa, ma al tempo stesso ventosa e salmastra, appare quasi uno scherzo del destino: le atmosfere delle descrizioni di Quasimodo ricordano inevitabilmente versi remoti del suo grande rivale, scottatissimo dal suo Nobel (che a sua volta peraltro ricever tra una decina d'anni), Eugenio Montale... Le ultime di Quasimodo si configurano dunque come quella annunciata dalla lettera sera del 19 luglio [1966]: "penso che sar un'estate 'lontanissima', astratta". I problemi contingenti si aggravano alla fine di luglio del '66, quando Quasimodo comincia ad avvertire con maggiore fastidio i problemi cardiaci che finiranno per essergli fatali ("il tempo autunnale influisce anche sui miei 'battiti' un po' confusi", scrive il 26.7.1966; e due giorni dopo: "Ogni volta le 'crisi' si sono fermate alla soglia. Dicono. Ma chi pu crederlo? Comunque, vedremo"; il 2.8.1967: "da un cardiologo [...] Questa anche una presenza che mi ricorda la 'giornata provvisoria'"). Ma sulla nota crudele della separazione che la scrittura ribatte ossessiva (3.8.1966: "Il mio amore lo tengo nella stretta del ricordo: tenero e violento"; 30.7.1967: "Cattiva sorte il tempo che si rotola piano senza un soffio di piet per me"). Ogni riapparizione dell'amata si tinge sempre pi dell'amarezza di un distacco imminente, che forse non dipender dalla volubilit degli accordi umani: "finalmente la tua voce dopo onde e onde di silenzio", scrive nell'ultima lettera Quasimodo (il 17.8.1967): "Fra pochi giorni ti avr. Non so pi nulla". Il congedo definitivo, il poeta lo presagisce, ormai prossimo: e stende un'ombra maligna sulla felicit passata. Come sempre fa, del resto: "Questa assenza stata piena di reticolati e d'insidie, di velluti e di pugnali".
Quasimodo, poeta per eccellenza mediterraneo (dall'esordio di Acque e terre: 1930...), ha incontrato in una sorta di casuale e climaterico demone meridiano il suo ultimo fervore di passione. Sono, questi della separazione e dell'amor forzatamente de lonh, "i giorni del Leone", come li chiama il poeta. Il quale sotto il segno del Leone era nato (a Modica, in un'altra terra riarsa) il 20 d'agosto del 1901; e morir (a Napoli) il 14 giugno del '68, un mese prima dell'avvento zodiacale fatale. In questo magnifico epistolario d'amore si consuma fiammeggiante, e sfiorisce malinconica a ogni sempre troppo precoce "spezzarsi" dell'estate, dunque, l'ultima stagione del Leone di quello che senza dubbio stato un grande leone della poesia. (32)