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Details
MANZÙ, Giacomo (1908-1991). Straordinario carteggio del grande scultore con il critico Nino BERTOCCHI, suo interprete privilegiato (fu autore di diversi interventi sulla sua opera, spesso pubblicati sull'"Avvenire" e altre testate di tendenza cattolica) oltre che intimo amico personale.Il carteggio (consistente in ben 129 lettere autografe firmate - solo un paio sono dattiloscritte o comunque solo firmate - tutte ampie e interessantissime) si snoda dal 1934 al 1956, anno della morte del critico. Si aggiungono, poi, altre dodici lettere firmate indirizzate dall'artista, sino al 1987, alla signora Renata, vedova dell'amico, sempre a mantenere viva la sua memoria). In cinque casi il messaggio di Manzù è scritto al verso di riproduzioni fotografiche originali di opere dell'artista, in guisa di didascalie; in un caso, poi, alla lettera (quella datata 27-1-41) si aggiunge un'opera di Manzù vera e propria: un bellissimo Nudo femminile (penna e inchiostro acquarellato su carta, mm 420 x 280).
È facile capire che un carteggio fitto e colmo di notizie di prima mano come questo riservi un'infinità di sorprese, accampandosi di diritto come la fonte probabilmente in assoluto più importante per lo studio del grande artista; la circostanza che esso si snodi a partire da un'età estremamente giovanile (all'epoca Manzù è ancora ben distante dall'aver preso contatto col gruppo milanese di "Corrente": incontro che, com'è noto, segnò in misura decisiva la sua poetica, e soprattutto la sua esemplare posizione etica), oltretutto, consente di ravvisare gli albori stessi della sua poetica. Il fatto che le lettere siano indirizzate a un critico che è tuttavia anche un amico personale dà a questo carteggio, infatti, un carattere affatto particolare: confidenziale e calorosamente personale ma anche colmo di indicazioni precise e circostanziate sul suo lavoro. Estremamente interessante, per esempio, la lettera-repertorio del 1 settembre 1949, nella quale - in vista di una personale dell'artista prevista a Buenos Aires, il testo per la quale ha chiesto proprio a Bertocchi - Manzù fa un elenco delle opere in partenza (sedici, più una scelta di disegni), aggiungendo a ciascuna una sintetica concordanza con suoi cataloghi già editi e un brevissimo autocommento, ovviamente assai prezioso.
Le lettere giovanili di Manzù si possono leggere come un romanzo di formazione. Bellissima è una delle prime lettere, non datata, che restituisce per intero il clima di inquetudine personale che domina, fin dal principio, la ricerca dell'artista (prima, cioè, che essa si precisi come caratterizzata in senso religioso-confessionale e politico al tempo stesso), e che si rivela essere il reale terreno sul quale matura e si sviluppa l'intesa profonda tra Manzù e Bertocchi: "Sono molto contento delle tue buone notizie, immagino che nonostante tutte le angosce presenti sarai almeno sollevato da queste cose intime che ti hanno fatto tanto soffrire. Io non posso lavorare come vorrei, faccio qualcosa ma tu sai che mancando quella assoluta tranquillità è impossibile andare a fondo, per questo 'l'autoritratto con la moglie' del quale ti parlai e che tanto mi sta a cuore è sempre coperto sperando sempre di riprenderlo. Sento che questa scultura sarebbe troppo importante per non essere compiuta e senza questa mi mancherebbe certamente il capolavoro. La mia convinzione è che certe cose non possono mancare alla storia dell'arte, non son mai mancate e vedrai che anche questa non mancherà". In questa lettera, come a raffigurare icasticamente il senso di perplesso isolamento dell'artista, uno schizzo a china che rappresenta un interno un po' bohème, con una figura seduta che medita fumando... (e non è il solo caso nel quale per aiutarsi graficamente nell'espressione dei propri sentimenti l'artista faccia spontaneo ricorso al disegno, piuttosto che alla scrittura: in almeno altri due casi lo scarabocchio - a matita sul dorso della busta - diventa vero e proprio schizzo: in un caso di suppellettili e altri elementi ornamentali, in un altro di un profilo femminile).
Ben diverso il clima che si respira nelle lettere del dopoguerra. Manzù è un artista affermato, ormai (in una lettera scritta in un momento drammaticissimo come il giugno del '44 annuncia all'amico, in tono asciutto, di aver ricevuto dal Papa la commissione per un monumento a Pio XI, su interessamento di Cesare Brandi...), e le lettere sono in sostanza la cronaca di una serie inteminabile di trionfi professionali. Lo spirito dell'artista è però sempre vivo, come dimostra una lettera, non meno che furiosa, che accompagna (il 13 marzo del'47), un ritaglio di articolo estremamente ironico e riduttivo, sulla sua opera, di Leonardo Borgese: "Carissimo Bertocchi, la mia mostra che hai onorato con la tua presenza sarà l'ultima in questa città [Milano] [...] ho improvvisato questo scritto per accluderti questo pezzo dell'"Europeo" firmato "Polignoto", che è poi il solito Borgese, perché tu ti renda conto con quanta vigliaccheria si scriva contro la mia fama, le mie sofferenze, ed il mio eroismo; perdonami ques'ultima parola, ma sono veramente disgustato come uomo, e tu che mi sonosci veramente potrai testimoniare a questo imbroglione, che io ho la fortuna di conoscere solamente di vista [...] Questa voce volgare contro la verità è semplicemente schifosa".
Ma in ogni lettera di Manzù rifulge questa qualità tenacemente combattiva del suo temperamento: anche nei momenti di maggiore accensione ideale (e diciamo pure ascetica), inscalfibile nerbo profondo sempre presente al fondo del suo lavoro.
Unite, rare e preziose pubblicazioni: La grande Pietà. Bozzetto di Giacomo Manzù per un Monumento Papale, con testo di B. Calzaferri, Roma, Edizioni della Conchiglia, 1943 (edizione in 100 esemplari f.c., copia con due grandi fotografie aggiunte f.t.); N. Bertocchi, Manzù, Milano, Domus, 1942 (grande cartella in pergamena di 150 esemplari: esemplare dell'autore con le fotografie originali usate per le riproduzionmi a stampa); G.C. Argan, Manzù. Disegni, Bergamo, Istituto Italiano di Arte Grafica, 1948 (1000 esemplari numerati, esemplare firmato da Manzù, con superba cartella in custodia); Manzù. Bozzetto per le porte di San Pietro in Vaticano, Roma, Istituto Tiberino, 1949 (edizione fuori commercio per il concorso, con dedica autografa firmata dell'artista). In conclusione, siamo di fronte alla migliore e più esauriente testimonianza, davvero "dall'interno", a proposito di un'esemplare carriera d'artista italiano del Novecento. (150)
È facile capire che un carteggio fitto e colmo di notizie di prima mano come questo riservi un'infinità di sorprese, accampandosi di diritto come la fonte probabilmente in assoluto più importante per lo studio del grande artista; la circostanza che esso si snodi a partire da un'età estremamente giovanile (all'epoca Manzù è ancora ben distante dall'aver preso contatto col gruppo milanese di "Corrente": incontro che, com'è noto, segnò in misura decisiva la sua poetica, e soprattutto la sua esemplare posizione etica), oltretutto, consente di ravvisare gli albori stessi della sua poetica. Il fatto che le lettere siano indirizzate a un critico che è tuttavia anche un amico personale dà a questo carteggio, infatti, un carattere affatto particolare: confidenziale e calorosamente personale ma anche colmo di indicazioni precise e circostanziate sul suo lavoro. Estremamente interessante, per esempio, la lettera-repertorio del 1 settembre 1949, nella quale - in vista di una personale dell'artista prevista a Buenos Aires, il testo per la quale ha chiesto proprio a Bertocchi - Manzù fa un elenco delle opere in partenza (sedici, più una scelta di disegni), aggiungendo a ciascuna una sintetica concordanza con suoi cataloghi già editi e un brevissimo autocommento, ovviamente assai prezioso.
Le lettere giovanili di Manzù si possono leggere come un romanzo di formazione. Bellissima è una delle prime lettere, non datata, che restituisce per intero il clima di inquetudine personale che domina, fin dal principio, la ricerca dell'artista (prima, cioè, che essa si precisi come caratterizzata in senso religioso-confessionale e politico al tempo stesso), e che si rivela essere il reale terreno sul quale matura e si sviluppa l'intesa profonda tra Manzù e Bertocchi: "Sono molto contento delle tue buone notizie, immagino che nonostante tutte le angosce presenti sarai almeno sollevato da queste cose intime che ti hanno fatto tanto soffrire. Io non posso lavorare come vorrei, faccio qualcosa ma tu sai che mancando quella assoluta tranquillità è impossibile andare a fondo, per questo 'l'autoritratto con la moglie' del quale ti parlai e che tanto mi sta a cuore è sempre coperto sperando sempre di riprenderlo. Sento che questa scultura sarebbe troppo importante per non essere compiuta e senza questa mi mancherebbe certamente il capolavoro. La mia convinzione è che certe cose non possono mancare alla storia dell'arte, non son mai mancate e vedrai che anche questa non mancherà". In questa lettera, come a raffigurare icasticamente il senso di perplesso isolamento dell'artista, uno schizzo a china che rappresenta un interno un po' bohème, con una figura seduta che medita fumando... (e non è il solo caso nel quale per aiutarsi graficamente nell'espressione dei propri sentimenti l'artista faccia spontaneo ricorso al disegno, piuttosto che alla scrittura: in almeno altri due casi lo scarabocchio - a matita sul dorso della busta - diventa vero e proprio schizzo: in un caso di suppellettili e altri elementi ornamentali, in un altro di un profilo femminile).
Ben diverso il clima che si respira nelle lettere del dopoguerra. Manzù è un artista affermato, ormai (in una lettera scritta in un momento drammaticissimo come il giugno del '44 annuncia all'amico, in tono asciutto, di aver ricevuto dal Papa la commissione per un monumento a Pio XI, su interessamento di Cesare Brandi...), e le lettere sono in sostanza la cronaca di una serie inteminabile di trionfi professionali. Lo spirito dell'artista è però sempre vivo, come dimostra una lettera, non meno che furiosa, che accompagna (il 13 marzo del'47), un ritaglio di articolo estremamente ironico e riduttivo, sulla sua opera, di Leonardo Borgese: "Carissimo Bertocchi, la mia mostra che hai onorato con la tua presenza sarà l'ultima in questa città [Milano] [...] ho improvvisato questo scritto per accluderti questo pezzo dell'"Europeo" firmato "Polignoto", che è poi il solito Borgese, perché tu ti renda conto con quanta vigliaccheria si scriva contro la mia fama, le mie sofferenze, ed il mio eroismo; perdonami ques'ultima parola, ma sono veramente disgustato come uomo, e tu che mi sonosci veramente potrai testimoniare a questo imbroglione, che io ho la fortuna di conoscere solamente di vista [...] Questa voce volgare contro la verità è semplicemente schifosa".
Ma in ogni lettera di Manzù rifulge questa qualità tenacemente combattiva del suo temperamento: anche nei momenti di maggiore accensione ideale (e diciamo pure ascetica), inscalfibile nerbo profondo sempre presente al fondo del suo lavoro.
Unite, rare e preziose pubblicazioni: La grande Pietà. Bozzetto di Giacomo Manzù per un Monumento Papale, con testo di B. Calzaferri, Roma, Edizioni della Conchiglia, 1943 (edizione in 100 esemplari f.c., copia con due grandi fotografie aggiunte f.t.); N. Bertocchi, Manzù, Milano, Domus, 1942 (grande cartella in pergamena di 150 esemplari: esemplare dell'autore con le fotografie originali usate per le riproduzionmi a stampa); G.C. Argan, Manzù. Disegni, Bergamo, Istituto Italiano di Arte Grafica, 1948 (1000 esemplari numerati, esemplare firmato da Manzù, con superba cartella in custodia); Manzù. Bozzetto per le porte di San Pietro in Vaticano, Roma, Istituto Tiberino, 1949 (edizione fuori commercio per il concorso, con dedica autografa firmata dell'artista). In conclusione, siamo di fronte alla migliore e più esauriente testimonianza, davvero "dall'interno", a proposito di un'esemplare carriera d'artista italiano del Novecento. (150)