MORAVIA, Alberto (pseudonimo di Alberto PINCHERLE, 1907-1990). Dattiloscritto completo del romanzo Il disprezzo, pubblicato da Bompiani nel 1954 (e portato al cinema, col titolo Le mepris, da Jean-Luc Godard nel 1963): 230 pagine 4o fittissime di correzioni, cancellature, riscritture autografe (raccolte in un classificatore mezza pelle, col titolo in oro al dorso, legacci in seta). In testa alla prima pagina, l'indicazione autografa firmata ultimo manoscritto originale 1954. In effetti, rispetto alla versione èdita del romanzo, la stesura (al termine del fitto lavorìo di correzione sul dattiloscritto) si può considerare quasi definitiva (ulteriori correzioni, nelle bozze, riguardano solo l'articolazione interna delle frasi, e comunque non comportano né tagli né inserzioni di rilievo). Fa però eccezione il capitolo tredicesimo del dattiloscritto (incipit: A Napoli, com'era convenuto...; explixit: Due ore dopo arrivammo a Capri), c
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MORAVIA, Alberto (pseudonimo di Alberto PINCHERLE, 1907-1990). Dattiloscritto completo del romanzo Il disprezzo, pubblicato da Bompiani nel 1954 (e portato al cinema, col titolo Le mepris, da Jean-Luc Godard nel 1963): 230 pagine 4o fittissime di correzioni, cancellature, riscritture autografe (raccolte in un classificatore mezza pelle, col titolo in oro al dorso, legacci in seta). In testa alla prima pagina, l'indicazione autografa firmata ultimo manoscritto originale 1954. In effetti, rispetto alla versione èdita del romanzo, la stesura (al termine del fitto lavorìo di correzione sul dattiloscritto) si può considerare quasi definitiva (ulteriori correzioni, nelle bozze, riguardano solo l'articolazione interna delle frasi, e comunque non comportano né tagli né inserzioni di rilievo). Fa però eccezione il capitolo tredicesimo del dattiloscritto (incipit: A Napoli, com'era convenuto...; explixit: Due ore dopo arrivammo a Capri), completamente tagliato dalla versione definitiva (che infatti si articola in ventitré capitoli, contro i ventiquattro del dattiloscritto). Il capitolo tagliato (che abbraccia le pagine 132-140 del dattiloscritto) è di estremo interesse. Di là dalla cornice paesaggistica, che non esclude bellurie stilistiche alle quali Moravia sarà sempre allergico (Tirava un vento allegro che faceva sventolare le banderuole e oscillare le alberature delle imbarcazioni nel porticciolo; l'acqua non restava un momento di alzarsi ed abbassarsi, secondo il flusso e il riflusso lungo le chiglie bianche e verdi, un'acqua densa e oleosa, sparsa di gialle scorze di limone e di chiazze iridescenti di nafta... mi voltai e vidi che tutti i passeggeri si erano alzati in piedi e guardavano al mare. Erano due delfini, riconoscibili dai lunghi musi arguti e dalle code falcate, che saltavano e caprioleggiavano ora apparendo e ora scomparendo sott'acqua, allegri, nel mare, come due cervi, in terra, alla buona stagione su una prateria fiorita. Due ore dopo arrivammo a Capri), il capitolo (che si trova al centro esatto della narrazione) s'incentra su una tesa conversazione fra il protagonista e io narrante, il giovane sceneggiatore Molteni, e il suo tronfio datore di lavoro, il produttore cinematografico Battista, il proprietario della "Trionfo Film" che vuole girare un blockbuster tratto dall'Odissea (bocca grande ma senza labbra, sottile come il taglio di un coltello, mani tozze ricoperte di peli neri che continuano oltre il polso fin dentro alla manica). Il contrasto fra il volgare vitalismo del produttore e l'"indifferente" introversione dell'intellettuale (che proprio per questo vede in crisi il proprio rapporto con la moglie Emilia), che percorre tutto il libro come una corrente elettrica invisibile a occhio nudo, in questo capitolo è portato alla luce nella sua natura squisitamente ideologica (che proprio la riduzione cinematografica di Godard, tra l'altro, provvederà a pungentemente interpretare), nella lunga scena di dialogo ambientato nel ristorantino alla moda sul lungomare napoletano, in attesa di imbarcarsi per Capri: Battista, dopo che ci fummo seduti, mi attaccò improvvisamente in questo modo: "Mi sbaglierò, ma lei Molteni deve essere di carattere triste, per non dire, addirittura, cupo [...] l'ho osservato sulla spiaggia, mentre guardavamo al mare... io, sua moglie e Rheingold [il tedesco regista designato per il film, dall'allusivo cognome wagneriano] eravmo allegri, esaltati dal mare, dall'aria aperta, dal sole... ma lei, l'ho osservato Molteni... lei era cupo, aveva una faccia terribilmente seria, accigliata, tetra [...] Lei è un pessimista" [...] Prim'ancora di rendermene conto, dissi a denti stretti: "Lei mi parla così perché sono comunista [...] Se non fossi comunista, forse lei non troverebbe difficoltà a riconoscere che anch'io sono un uomo sano e normale" [...] "Per carità [...] la politica qui non c'entra... o meglio ma non nel modo che lei pensa... vuol sapere in che modo? [...] Ho tutta una mia teoria", disse non senza compiacimento, "sui motivi per cui la gente si iscrive al partito comunista... da una parte ci sono gli operai, i braccianti gli artigiani: quelli si iscrivono al partito comunista semplicemente perché sono poveri... al loro posto io farei lo stesso: sfido io, è il loro partito... ma poi c'è un'altra categoria di persone che non sono povere [...] queste persone, secondo la mia teoria, si iscrivono al partito comunista perché nella vita, per così dire, ci stanno in affitto... sono gli sfiduciati, gli scontenti, i malsicuri, i dubbiosi che non sanno né vogliono camminare con le loro gambe, e che cercano qualche cosa che li sorregga, che non credono a nulla e tuttavia sentono il bisogno di credere". Se nel Disprezzo, come ha scritto a suo tempo Edoardo Sanguineti, la problematica centrale di Moravia trova la sua summa più precisa e complessa, quasi una unitaria enciclopedia della sua tematica, in questo prezioso dattiloscritto, e soprattutto nell'onfalos segreto del romanzo così venuto alla luce, tale tematica trova la sua radice più forte: almeno in quell'immediato dopoguerra nel quale l'arte narrativa di Moravia prende una piega, rispetto agli esordi, insieme nuova e coerente. Due anni dopo la pubblicazione del Disprezzo i fatti d'Ungheria imporranno, a Moravia come a tanti altri intellettuali comunisti italiani, di ridefinire e declinare in forme nuove quelle stesse inquietudini, quegli stessi ideali: quello stesso stare nella vita in affitto.

細節
MORAVIA, Alberto (pseudonimo di Alberto PINCHERLE, 1907-1990). Dattiloscritto completo del romanzo Il disprezzo, pubblicato da Bompiani nel 1954 (e portato al cinema, col titolo Le mepris, da Jean-Luc Godard nel 1963): 230 pagine 4o fittissime di correzioni, cancellature, riscritture autografe (raccolte in un classificatore mezza pelle, col titolo in oro al dorso, legacci in seta). In testa alla prima pagina, l'indicazione autografa firmata ultimo manoscritto originale 1954. In effetti, rispetto alla versione èdita del romanzo, la stesura (al termine del fitto lavorìo di correzione sul dattiloscritto) si può considerare quasi definitiva (ulteriori correzioni, nelle bozze, riguardano solo l'articolazione interna delle frasi, e comunque non comportano né tagli né inserzioni di rilievo). Fa però eccezione il capitolo tredicesimo del dattiloscritto (incipit: A Napoli, com'era convenuto...; explixit: Due ore dopo arrivammo a Capri), completamente tagliato dalla versione definitiva (che infatti si articola in ventitré capitoli, contro i ventiquattro del dattiloscritto).
Il capitolo tagliato (che abbraccia le pagine 132-140 del dattiloscritto) è di estremo interesse. Di là dalla cornice paesaggistica, che non esclude bellurie stilistiche alle quali Moravia sarà sempre allergico (Tirava un vento allegro che faceva sventolare le banderuole e oscillare le alberature delle imbarcazioni nel porticciolo; l'acqua non restava un momento di alzarsi ed abbassarsi, secondo il flusso e il riflusso lungo le chiglie bianche e verdi, un'acqua densa e oleosa, sparsa di gialle scorze di limone e di chiazze iridescenti di nafta... mi voltai e vidi che tutti i passeggeri si erano alzati in piedi e guardavano al mare. Erano due delfini, riconoscibili dai lunghi musi arguti e dalle code falcate, che saltavano e caprioleggiavano ora apparendo e ora scomparendo sott'acqua, allegri, nel mare, come due cervi, in terra, alla buona stagione su una prateria fiorita. Due ore dopo arrivammo a Capri), il capitolo (che si trova al centro esatto della narrazione) s'incentra su una tesa conversazione fra il protagonista e io narrante, il giovane sceneggiatore Molteni, e il suo tronfio datore di lavoro, il produttore cinematografico Battista, il proprietario della "Trionfo Film" che vuole girare un blockbuster tratto dall'Odissea (bocca grande ma senza labbra, sottile come il taglio di un coltello, mani tozze ricoperte di peli neri che continuano oltre il polso fin dentro alla manica). Il contrasto fra il volgare vitalismo del produttore e l'"indifferente" introversione dell'intellettuale (che proprio per questo vede in crisi il proprio rapporto con la moglie Emilia), che percorre tutto il libro come una corrente elettrica invisibile a occhio nudo, in questo capitolo è portato alla luce nella sua natura squisitamente ideologica (che proprio la riduzione cinematografica di Godard, tra l'altro, provvederà a pungentemente interpretare), nella lunga scena di dialogo ambientato nel ristorantino alla moda sul lungomare napoletano, in attesa di imbarcarsi per Capri: Battista, dopo che ci fummo seduti, mi attaccò improvvisamente in questo modo: "Mi sbaglierò, ma lei Molteni deve essere di carattere triste, per non dire, addirittura, cupo [...] l'ho osservato sulla spiaggia, mentre guardavamo al mare... io, sua moglie e Rheingold [il tedesco regista designato per il film, dall'allusivo cognome wagneriano] eravmo allegri, esaltati dal mare, dall'aria aperta, dal sole... ma lei, l'ho osservato Molteni... lei era cupo, aveva una faccia terribilmente seria, accigliata, tetra [...] Lei è un pessimista" [...] Prim'ancora di rendermene conto, dissi a denti stretti: "Lei mi parla così perché sono comunista [...] Se non fossi comunista, forse lei non troverebbe difficoltà a riconoscere che anch'io sono un uomo sano e normale" [...] "Per carità [...] la politica qui non c'entra... o meglio ma non nel modo che lei pensa... vuol sapere in che modo? [...] Ho tutta una mia teoria", disse non senza compiacimento, "sui motivi per cui la gente si iscrive al partito comunista... da una parte ci sono gli operai, i braccianti gli artigiani: quelli si iscrivono al partito comunista semplicemente perché sono poveri... al loro posto io farei lo stesso: sfido io, è il loro partito... ma poi c'è un'altra categoria di persone che non sono povere [...] queste persone, secondo la mia teoria, si iscrivono al partito comunista perché nella vita, per così dire, ci stanno in affitto... sono gli sfiduciati, gli scontenti, i malsicuri, i dubbiosi che non sanno né vogliono camminare con le loro gambe, e che cercano qualche cosa che li sorregga, che non credono a nulla e tuttavia sentono il bisogno di credere".
Se nel Disprezzo, come ha scritto a suo tempo Edoardo Sanguineti, la problematica centrale di Moravia trova la sua summa più precisa e complessa, quasi una unitaria enciclopedia della sua tematica, in questo prezioso dattiloscritto, e soprattutto nell'onfalos segreto del romanzo così venuto alla luce, tale tematica trova la sua radice più forte: almeno in quell'immediato dopoguerra nel quale l'arte narrativa di Moravia prende una piega, rispetto agli esordi, insieme nuova e coerente. Due anni dopo la pubblicazione del Disprezzo i fatti d'Ungheria imporranno, a Moravia come a tanti altri intellettuali comunisti italiani, di ridefinire e declinare in forme nuove quelle stesse inquietudini, quegli stessi ideali: quello stesso stare nella vita in affitto.
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