Lot Essay
"Un grande cavallo dalla gualdrappa rossa è ruinato per terra in primo piano, sulla destra e sulla sinistra si vedono due soldati, uno dei quali è caduto col suo tamburo. In secondo piano due contendenti a piedi. In fondo si vedono tre guerrieri a cavallo e il castello sullo schermo di un cielo annuvolato. Una scena perfino popolaresca, ma non riusciamo a dimenticare che mentre il pittore dipinge quella contesa sulla sedia spagliata del suo studio, fuori si sta svolgendo la guerra vera, drammatica e guerreggiata."
Riappare oggi, dopo sessant'anni, un quadro del primissimo tempo in cui Giorgio de Chirico sperimenta una pittura di cultura romantica e barocca. Un periodo essenziale, iniziato in prossimità della guerra, e del quale questa Battaglia presso un castello rappresenta un punto fermo.
La composizione è molto affollata e piena, lo stile pittorico gravido di colore, l'iconografia si riallaccia (attraverso Delacroix) alla cultura romantica della grande tradizione italiana. La scena di battaglia prende anche i riflessi della guerra che il pittore e l'Italia stanno in questo momento vivendo, ma si sublima alle luci di un rinascimento sognato (e quindi metafisico).
A parte l'alta qualità, l'opera si segnala per una storia piuttosto ricca di eventi e molto precisa: è contenuta nel suo stesso corpo, nel retro della tela. E' stata esposta nel 1949 in una memorabile mostra a Londra: il fatto è confermato dai timbri analoghi a quelli di altri quadri che hanno compiuto la traversata della Manica. E' stata esposta nello stesso 1949 a Venezia in una grossa mostra personale, polemica contro l'attuale "modernismo". E' stata esposta nel 1951 in una importante mostra antologica nel Museo di San Francisco. Inoltre la tela contiene nel retro la ricetta pittorica con la quale è stata dipinta, a parte una perfetta autentica notarile.
E' il gennaio 1938, quando Giorgio de Chirico rimette il piede sul suolo italiano: provenienza, Stati Uniti d'America. Ha esattamente cinquant'anni. A Milano e a Parigi nel 1938, ricomincia l'odissea. E, come solito, il Metafisico, prima di tutto, nega se stesso. Basta con la Metafisica (al massimo, si potranno replicare, gli antichi quadri), basta con il clima da "nascita della tragedia", basta con le speranze del Nuovo Mondo. Ora ritorna antico: rinascimentale, barocco, romantico. La sua pittura trova una nuova materia, liquida e pastosa allo stesso tempo: "trasparenza e densità", precisa in uno scritto. Trova soprattutto nuovi riferimenti nel crogiolo dell'arte coniugata al passato: Rubens e Delacroix, Velásquez e Rembrandt, Fragonard e Tiziano.........
E ricomincia a travestirsi, a cambiare scena e costume: sembra, volta a volta, uscito da un bagno turco di Ingres o da un atelier lagunare di Paolo Veronese, dalle quinte d'uno scenario fiorentino o da una plaza de toros di Goya; Si presenta un repertorio di immagini diverso dal solito, in questi anni, accompagnato da una tecnica in gran parte nuova. Resta un dubbio: viene prima il bisogno d'una pittura diversa (liquida e trasparente) e poi l'immagine (fluida e antica) che determina la scelta di una particolare tecnica?
In un autoritratto con la tavolozza, dipinto verso la fine della guerra, si legge le magica etichetta "Pictor optimus". La volontà è quella di condannare l'odiato "modernismo", che fu tra i primi a fondare. La mentalità è una sola: lo spirito di contraddizione, l'ubiquità, il nomadismo culturale. Una crociata accanita (e un po' ridicola, come sono tutte le crociate). Una guerra apparentemente perduta.
Gli sembra importante, in questi anni, allargare il territorio dell'artificiale accrescere la materialità del pensiero, costruire come sempre il fantasma d'una idea. Basta scorrere gli scritti di quegli anni per comprendere che la ricerca è quella di sempre:"Noi amiamo il non vero", "Tutto fuorché la realtà".
La storia dell'arte è interpretata dal pittore come una sorta di "Simposio" platonico, un tavolo imbandito al quale si danno convegno gli eroi della pittura. Scrive nel 1950: "A volte pensando ai maestri antichi, ai grandi pittori italiani, spagnoli, francesi, fiamminghi, tedeschi, dei secoli passati, li immagino come riuniti in una specie di magnifico simposio, e, confabulando fra loro, narrarsi l'un l'altro le loro fatiche per la conquista del vello d'oro della maestria... E vedo i grandi maestri del Rinascimento, vedo Tiziano quasi centenario guardare Giovanni Bellini con sguardo d'affetto filiale e Bellini guardare Tiziano con l'orgoglio del padre... e vedo i grandi maestri fiamminghi, con in mezzo il divino Rubens, maestro tra i maestri e poi gli spagnoli, il potente e tranquillo Velázquez e Ribera e il Greco e più in là Goya. Poi i neoclassici del primo Ottocento, vedo David, il discepolo di Fragonard e Ingres...e poi i romantici Delacroix, Gericault e Courbet che è stato l'ultimo grande pittore europeo...."
Maurizio Fagiolo dell'Arco
L'opera sarà inserita in Giorgio de Chirico romantico e barocco 1938-1950, a cura di M. Fagiolo dell'Arco, in corso di pubblicazione.
Riappare oggi, dopo sessant'anni, un quadro del primissimo tempo in cui Giorgio de Chirico sperimenta una pittura di cultura romantica e barocca. Un periodo essenziale, iniziato in prossimità della guerra, e del quale questa Battaglia presso un castello rappresenta un punto fermo.
La composizione è molto affollata e piena, lo stile pittorico gravido di colore, l'iconografia si riallaccia (attraverso Delacroix) alla cultura romantica della grande tradizione italiana. La scena di battaglia prende anche i riflessi della guerra che il pittore e l'Italia stanno in questo momento vivendo, ma si sublima alle luci di un rinascimento sognato (e quindi metafisico).
A parte l'alta qualità, l'opera si segnala per una storia piuttosto ricca di eventi e molto precisa: è contenuta nel suo stesso corpo, nel retro della tela. E' stata esposta nel 1949 in una memorabile mostra a Londra: il fatto è confermato dai timbri analoghi a quelli di altri quadri che hanno compiuto la traversata della Manica. E' stata esposta nello stesso 1949 a Venezia in una grossa mostra personale, polemica contro l'attuale "modernismo". E' stata esposta nel 1951 in una importante mostra antologica nel Museo di San Francisco. Inoltre la tela contiene nel retro la ricetta pittorica con la quale è stata dipinta, a parte una perfetta autentica notarile.
E' il gennaio 1938, quando Giorgio de Chirico rimette il piede sul suolo italiano: provenienza, Stati Uniti d'America. Ha esattamente cinquant'anni. A Milano e a Parigi nel 1938, ricomincia l'odissea. E, come solito, il Metafisico, prima di tutto, nega se stesso. Basta con la Metafisica (al massimo, si potranno replicare, gli antichi quadri), basta con il clima da "nascita della tragedia", basta con le speranze del Nuovo Mondo. Ora ritorna antico: rinascimentale, barocco, romantico. La sua pittura trova una nuova materia, liquida e pastosa allo stesso tempo: "trasparenza e densità", precisa in uno scritto. Trova soprattutto nuovi riferimenti nel crogiolo dell'arte coniugata al passato: Rubens e Delacroix, Velásquez e Rembrandt, Fragonard e Tiziano.........
E ricomincia a travestirsi, a cambiare scena e costume: sembra, volta a volta, uscito da un bagno turco di Ingres o da un atelier lagunare di Paolo Veronese, dalle quinte d'uno scenario fiorentino o da una plaza de toros di Goya; Si presenta un repertorio di immagini diverso dal solito, in questi anni, accompagnato da una tecnica in gran parte nuova. Resta un dubbio: viene prima il bisogno d'una pittura diversa (liquida e trasparente) e poi l'immagine (fluida e antica) che determina la scelta di una particolare tecnica?
In un autoritratto con la tavolozza, dipinto verso la fine della guerra, si legge le magica etichetta "Pictor optimus". La volontà è quella di condannare l'odiato "modernismo", che fu tra i primi a fondare. La mentalità è una sola: lo spirito di contraddizione, l'ubiquità, il nomadismo culturale. Una crociata accanita (e un po' ridicola, come sono tutte le crociate). Una guerra apparentemente perduta.
Gli sembra importante, in questi anni, allargare il territorio dell'artificiale accrescere la materialità del pensiero, costruire come sempre il fantasma d'una idea. Basta scorrere gli scritti di quegli anni per comprendere che la ricerca è quella di sempre:"Noi amiamo il non vero", "Tutto fuorché la realtà".
La storia dell'arte è interpretata dal pittore come una sorta di "Simposio" platonico, un tavolo imbandito al quale si danno convegno gli eroi della pittura. Scrive nel 1950: "A volte pensando ai maestri antichi, ai grandi pittori italiani, spagnoli, francesi, fiamminghi, tedeschi, dei secoli passati, li immagino come riuniti in una specie di magnifico simposio, e, confabulando fra loro, narrarsi l'un l'altro le loro fatiche per la conquista del vello d'oro della maestria... E vedo i grandi maestri del Rinascimento, vedo Tiziano quasi centenario guardare Giovanni Bellini con sguardo d'affetto filiale e Bellini guardare Tiziano con l'orgoglio del padre... e vedo i grandi maestri fiamminghi, con in mezzo il divino Rubens, maestro tra i maestri e poi gli spagnoli, il potente e tranquillo Velázquez e Ribera e il Greco e più in là Goya. Poi i neoclassici del primo Ottocento, vedo David, il discepolo di Fragonard e Ingres...e poi i romantici Delacroix, Gericault e Courbet che è stato l'ultimo grande pittore europeo...."
Maurizio Fagiolo dell'Arco
L'opera sarà inserita in Giorgio de Chirico romantico e barocco 1938-1950, a cura di M. Fagiolo dell'Arco, in corso di pubblicazione.