Lot Essay
MONOCROMIA
La luce, ovvero il colore per ciò che è.
Dall'opera d'arte come luogo della rappresentazione, all'opera intesa nella sua realtà oggettuale guadagnata a significare dalla sua propria realtà di dato e apparenza.
Se per l'opera d'arte intesa come luogo della rappresentazione i materiali, le necessità della realizzazione, la tela con l'intreccio di trama e ordito, la dimensione, il limite fisico del dipinto si danno nel risultato convenzionalmente inesistenti, mentre il colore è apparenza tra verità dell'opera e finzione, per un'arte invece che vuole essere unicamente verità, per la quale la dimensione non è limite, mentre le qualità pre-forma dei mezzi impiegati, i valori di levigatezza o di porosità, di lucentezza o di opacità, il tipo di pigmentazione e il modo, persino l'accennarsi di cedimenti nell'esattezza esecutiva concorrono all'apparenza, per la rappresentazione, questa volta mentale, che della cosa osservata, nel caso per l'appunto l'opera, facciamo nell'intuizione; e sarà
immagine, e cioè sintesi di determinazioni geometriche e strutturali esattamente afferrabili alla percezione e le apparenze dalle qualità sopra dette.
E immagine che sarà attualizzazione del pensiero progettante, nella quale attualizzazione il colore da rappresentazione com'era, di luce e ombra, ora è colore-luce, che nella molteplicità e mobilità delle incidenze e delle angolazioni percettive, tra occhio, sorgente luminosa e oggetto osservato, ovvero l'opera, è anche ambiente vivo, che intreccia la forma della attività fisica e mentale del soggetto autore-osservatore.
Colore in quanto luce dunque, e allora, necessariamente, monocromia. Oltre la quale l'opera di taluni artisti contemporanei preoccupati di indagare il fenomeno Colore, nella citazione tra Newton e Goethe risulta piuttosto ispirarsi all'intuizione Goetiana, quasi una divagazione dentro e intorno alla Farbenlehre.
E se ne comprende la ragione, trattandosi di opera di un artista, Goethe appunto, tutta intuitiva e dunque aperta, sempre feconda di ammiccamenti all'intuizione dell'artista-giocoliere, tra poetica e pretesa di scientificità.
Dal colore guscio, o limite della cosa dei greci antichi; a Newton e a Goethe, alla fisica quantistica.
Diversamente dalle ricerche sul colore appena qui sopra citate, da Malevic alle Nuove Tendenze degli Anni Sessanta la monocromia è intuizione che, osservatamente o meno, trova finalmente corrispondenza con le proposizioni e le rappresentazioni del pensiero scientifico contemporaneo. Corrispondenza, piuttosto che confusione di pensiero scientifico, peraltro pseudo, e pensiero artistico; e corrispondenza che certamente nemmeno pretende essere riduzione di distanza tra arte e scienza, la quale distanza venendo anzi in evidenza, tolta dal silenzio si fa significativa.
Venendo alle esperienze di più prossimo tempo, se in Yves Klein e nel Manzoni degli "achromes" il colore è luce fatta materia, per quanto mi riguarda, nella mia opera, il colore ha significato di fenomeno dal quale è la forma. Ciò che dà ragione del mio titolare le opere che vengo elaborando semplicemente nominando il colore: non si tratta di forme dipinte, bensl di colore che diviene forma. Dalla immobilità di colore-luce-superficie, a una dinamica di percorsi e spinte da un "tutto interno", e attrazioni contrarie, sarà emersione della forma.
E sarà "Bianco" se nel concorso, per incidenza della luce da una qualsiasi sorgente, anche nella casualità, vorrò una più intensa accensione luminosa richiamata a natura dell'opera, sospingendo le "estroflessioni" della superficie a particolari vertici, mentre per il lento digradare delle stesse il massimo di luminosità cederà, principiando ineffabile, a un crescere d'ombre, con effetto di ambiguità percettiva tra consistenza ed evanescenza. Ciò che sarà o non sarà, anche in continuo rovesciamento, per la mobilità dianzi richiamata del rapporto tra opera, luce e soggetto riguardante.
Va da sé che se la possibilità della forma è, come si diceva, dal colore in quanto luce, non sarà una decisione separata, quasi estranea all'attività creativa, a colorare la forma: un colore qualsiasi per una forma qualsiasi. Cosa che sarebbe riduzione dell'estetica a formalismo decorativo.
Il bianco è il massimo di luminosità, e una scelta in questo senso sarà per una soluzione formale che sia risposta soddisfacente ad un ben individuato tema percettivo, in una considerazione assai problematica della funzione estetica, dove struttura forma e immagine sono dato e apparenza, pensiero che astrae e sensorialità.
Il nero accentuando a profondità l'ombra, dal rapporto colore-sorgente luminosa-ambiente, esprimendo la forma, dinamica nel proporsi in avanti e ritrarsi della struttura organica, maggiormente, o forse soltanto diversamente che nel bianco porta a pensare (tensione intuitiva) un intimo interno e un fuori: un dentro che sembra attrarre lo spazio esterno nell'approfondirsi dell'ombra: accensione ancora di apparenza: immagine.
Bianco, Nero: gli altri colori sono passaggi tra gli estremi.
( A. Bonalumi, 2004)
La luce, ovvero il colore per ciò che è.
Dall'opera d'arte come luogo della rappresentazione, all'opera intesa nella sua realtà oggettuale guadagnata a significare dalla sua propria realtà di dato e apparenza.
Se per l'opera d'arte intesa come luogo della rappresentazione i materiali, le necessità della realizzazione, la tela con l'intreccio di trama e ordito, la dimensione, il limite fisico del dipinto si danno nel risultato convenzionalmente inesistenti, mentre il colore è apparenza tra verità dell'opera e finzione, per un'arte invece che vuole essere unicamente verità, per la quale la dimensione non è limite, mentre le qualità pre-forma dei mezzi impiegati, i valori di levigatezza o di porosità, di lucentezza o di opacità, il tipo di pigmentazione e il modo, persino l'accennarsi di cedimenti nell'esattezza esecutiva concorrono all'apparenza, per la rappresentazione, questa volta mentale, che della cosa osservata, nel caso per l'appunto l'opera, facciamo nell'intuizione; e sarà
immagine, e cioè sintesi di determinazioni geometriche e strutturali esattamente afferrabili alla percezione e le apparenze dalle qualità sopra dette.
E immagine che sarà attualizzazione del pensiero progettante, nella quale attualizzazione il colore da rappresentazione com'era, di luce e ombra, ora è colore-luce, che nella molteplicità e mobilità delle incidenze e delle angolazioni percettive, tra occhio, sorgente luminosa e oggetto osservato, ovvero l'opera, è anche ambiente vivo, che intreccia la forma della attività fisica e mentale del soggetto autore-osservatore.
Colore in quanto luce dunque, e allora, necessariamente, monocromia. Oltre la quale l'opera di taluni artisti contemporanei preoccupati di indagare il fenomeno Colore, nella citazione tra Newton e Goethe risulta piuttosto ispirarsi all'intuizione Goetiana, quasi una divagazione dentro e intorno alla Farbenlehre.
E se ne comprende la ragione, trattandosi di opera di un artista, Goethe appunto, tutta intuitiva e dunque aperta, sempre feconda di ammiccamenti all'intuizione dell'artista-giocoliere, tra poetica e pretesa di scientificità.
Dal colore guscio, o limite della cosa dei greci antichi; a Newton e a Goethe, alla fisica quantistica.
Diversamente dalle ricerche sul colore appena qui sopra citate, da Malevic alle Nuove Tendenze degli Anni Sessanta la monocromia è intuizione che, osservatamente o meno, trova finalmente corrispondenza con le proposizioni e le rappresentazioni del pensiero scientifico contemporaneo. Corrispondenza, piuttosto che confusione di pensiero scientifico, peraltro pseudo, e pensiero artistico; e corrispondenza che certamente nemmeno pretende essere riduzione di distanza tra arte e scienza, la quale distanza venendo anzi in evidenza, tolta dal silenzio si fa significativa.
Venendo alle esperienze di più prossimo tempo, se in Yves Klein e nel Manzoni degli "achromes" il colore è luce fatta materia, per quanto mi riguarda, nella mia opera, il colore ha significato di fenomeno dal quale è la forma. Ciò che dà ragione del mio titolare le opere che vengo elaborando semplicemente nominando il colore: non si tratta di forme dipinte, bensl di colore che diviene forma. Dalla immobilità di colore-luce-superficie, a una dinamica di percorsi e spinte da un "tutto interno", e attrazioni contrarie, sarà emersione della forma.
E sarà "Bianco" se nel concorso, per incidenza della luce da una qualsiasi sorgente, anche nella casualità, vorrò una più intensa accensione luminosa richiamata a natura dell'opera, sospingendo le "estroflessioni" della superficie a particolari vertici, mentre per il lento digradare delle stesse il massimo di luminosità cederà, principiando ineffabile, a un crescere d'ombre, con effetto di ambiguità percettiva tra consistenza ed evanescenza. Ciò che sarà o non sarà, anche in continuo rovesciamento, per la mobilità dianzi richiamata del rapporto tra opera, luce e soggetto riguardante.
Va da sé che se la possibilità della forma è, come si diceva, dal colore in quanto luce, non sarà una decisione separata, quasi estranea all'attività creativa, a colorare la forma: un colore qualsiasi per una forma qualsiasi. Cosa che sarebbe riduzione dell'estetica a formalismo decorativo.
Il bianco è il massimo di luminosità, e una scelta in questo senso sarà per una soluzione formale che sia risposta soddisfacente ad un ben individuato tema percettivo, in una considerazione assai problematica della funzione estetica, dove struttura forma e immagine sono dato e apparenza, pensiero che astrae e sensorialità.
Il nero accentuando a profondità l'ombra, dal rapporto colore-sorgente luminosa-ambiente, esprimendo la forma, dinamica nel proporsi in avanti e ritrarsi della struttura organica, maggiormente, o forse soltanto diversamente che nel bianco porta a pensare (tensione intuitiva) un intimo interno e un fuori: un dentro che sembra attrarre lo spazio esterno nell'approfondirsi dell'ombra: accensione ancora di apparenza: immagine.
Bianco, Nero: gli altri colori sono passaggi tra gli estremi.
( A. Bonalumi, 2004)