Lot Essay
La riscoperta di Giovanni Rivalta si deve alle ricerche, coincidenti per data di pubblicazione e tra loro sostanzialmente indipendenti, di Piergiorgio Pasini e Luigi Salerno, che nel 1984 pubblicarono i primi e fondamentali studi sull'artista faentino. Il saggio di Pasini, in particolare, tendeva a distinguere la figura di Rivalta da quella del suo conterraneo Pietro Piani, sotto il cui nome erano confluite fino a quel momento gran parte delle nature morte prodotte a Faenza nel primo Ottocento, comprese quelle che in quell'occasione furono restituite al Rivalta sulla base del confronto con opere firmate e datate.
Sebbene non firmato, il dipinto che qui presentiamo è stato appunto riconosciuto come appartenente alla stessa mano che nel 1803, e anzi nel mese di aprile, iscrive il nome, Giovanni Rivalta, e quello della città, Faenza, sulla coppia di nature morte che costituiscono il punto di avvio alla ricostruzione del suo catalogo (L. Salerno, 1984, figg. 121.2-3). Del tutto simile, infatti, la selezione di oggetti ordinatamente disposti sul piano di legno, appena sporgenti a suggerire un'illusiva profondità, e tutti tratti dalla realtà offerta da una cucina di campagna: una cucina ricca, certamente, ove non mancano cibi semplici ma variati e decisamente 'di terra', oggetti di uso comune rustici ma in buone condizioni, quasi a suggerire il contesto in cui queste nature morte sono nate, e il pubblico dei loro probabili collezionisti.
Il 'delicato purismo' che Luigi Salerno indicava come principale caratteristica di questo petit-maitre romagnolo del primo Ottocento si iscrive, concludendolo, nel più generale percorso verso la semplicità compositiva che nella seconda metà del Settecento appare coinvolgere molti pittori di natura morta in varie regioni italiane, dal Ceruti al Magini, allo pseudo-Resani, per restare in aree contigue a quelle del Rivalta.
Sebbene non firmato, il dipinto che qui presentiamo è stato appunto riconosciuto come appartenente alla stessa mano che nel 1803, e anzi nel mese di aprile, iscrive il nome, Giovanni Rivalta, e quello della città, Faenza, sulla coppia di nature morte che costituiscono il punto di avvio alla ricostruzione del suo catalogo (L. Salerno, 1984, figg. 121.2-3). Del tutto simile, infatti, la selezione di oggetti ordinatamente disposti sul piano di legno, appena sporgenti a suggerire un'illusiva profondità, e tutti tratti dalla realtà offerta da una cucina di campagna: una cucina ricca, certamente, ove non mancano cibi semplici ma variati e decisamente 'di terra', oggetti di uso comune rustici ma in buone condizioni, quasi a suggerire il contesto in cui queste nature morte sono nate, e il pubblico dei loro probabili collezionisti.
Il 'delicato purismo' che Luigi Salerno indicava come principale caratteristica di questo petit-maitre romagnolo del primo Ottocento si iscrive, concludendolo, nel più generale percorso verso la semplicità compositiva che nella seconda metà del Settecento appare coinvolgere molti pittori di natura morta in varie regioni italiane, dal Ceruti al Magini, allo pseudo-Resani, per restare in aree contigue a quelle del Rivalta.