Belli, Giuseppe Gioachino (1791-1863) - il massimo poeta dialettale di ogni tempo, dalla singolare e ancora non sufficientemente nota produzione in lingua. Straordinario corpus di autografi belliani. Si tratta di mss. calligrafici, approntati per le stampe, della produzione "pubblica", in lingua, del Belli. Spicca straordinario il lungo ms. a.f. della Lettera ed Elegia in morte del Cavaliere Pietro Paolo Neroni (datato 1840, esso è dunque coevo alla produzione romanesca, ed è di gran lunga il testo più articolato e interessante dei tre: 20 pp. delle quali 17 e poche righe interamente a. sulla parte destra, con a sinistra importantissime correzioni posteriori, integrazioni, ecc.). La Lettera, datata Roma, 15 Marzo 1840), è un lungo panegirico del defunto, nel quale si ripercorre l'intera carriera del solerte amministratore piceno. Belli si distingue in una prosa quasi omiletica, colma di effetti retorici e non priva di annotazioni in calce dal tono erudito. La Lettera è poi seguita da una quasi altrettanto lunga Elegia in terza rima (Poi che l'ambascia al tuo sepolcro...), dalla marmorea solennità neoclassica. Uniti, altri due importanti mss. belliani: un'epistola in versi All'Avv. Filippo Ricci datata 26. Maggio 1855: sette belle pp. piene in-4 (sempre in terza rima, il testo ha però un tono decisamente affettuoso, talvolta scherzoso - si tratta di un invito quasi epicureo alla vita: Ser Lippo, al tempo che toglieste moglie Io scrissivi una certa cantilena...), titolo (con firma) e data certo a., mentre il resto è forse di copista; e la Consolatoria A Monsignore Annibale Capalti, sempre in terza rima: cinque pp. piene in-8, più il frontespizio (con epigrafe quintilianea), interamente a. e f., datata 29. Maggio 1856, a. e f. Si tratta di un testo d'occasione (una consolatio di stampo senechiano per la morte di un parente del destinatario), ma con accenti più vivi del solito, specie nella sua parte iniziale, nella quale si ripercorre l'episodio biblico di Giobbe (le cui sventure vengono paragonate a quelle del Capalti) con accenti violenti e grotteschi non del tutto indegni dell'antico, sopito, artefice dei Sonetti (notevoli anche alcuni accenti autobiografici: testo davvero interessante). (3)

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Belli, Giuseppe Gioachino (1791-1863) - il massimo poeta dialettale di ogni tempo, dalla singolare e ancora non sufficientemente nota produzione in lingua. Straordinario corpus di autografi belliani. Si tratta di mss. calligrafici, approntati per le stampe, della produzione "pubblica", in lingua, del Belli. Spicca straordinario il lungo ms. a.f. della Lettera ed Elegia in morte del Cavaliere Pietro Paolo Neroni (datato 1840, esso è dunque coevo alla produzione romanesca, ed è di gran lunga il testo più articolato e interessante dei tre: 20 pp. delle quali 17 e poche righe interamente a. sulla parte destra, con a sinistra importantissime correzioni posteriori, integrazioni, ecc.). La Lettera, datata Roma, 15 Marzo 1840), è un lungo panegirico del defunto, nel quale si ripercorre l'intera carriera del solerte amministratore piceno. Belli si distingue in una prosa quasi omiletica, colma di effetti retorici e non priva di annotazioni in calce dal tono erudito. La Lettera è poi seguita da una quasi altrettanto lunga Elegia in terza rima (Poi che l'ambascia al tuo sepolcro...), dalla marmorea solennità neoclassica. Uniti, altri due importanti mss. belliani: un'epistola in versi All'Avv. Filippo Ricci datata 26. Maggio 1855: sette belle pp. piene in-4 (sempre in terza rima, il testo ha però un tono decisamente affettuoso, talvolta scherzoso - si tratta di un invito quasi epicureo alla vita: Ser Lippo, al tempo che toglieste moglie Io scrissivi una certa cantilena...), titolo (con firma) e data certo a., mentre il resto è forse di copista; e la Consolatoria A Monsignore Annibale Capalti, sempre in terza rima: cinque pp. piene in-8, più il frontespizio (con epigrafe quintilianea), interamente a. e f., datata 29. Maggio 1856, a. e f. Si tratta di un testo d'occasione (una consolatio di stampo senechiano per la morte di un parente del destinatario), ma con accenti più vivi del solito, specie nella sua parte iniziale, nella quale si ripercorre l'episodio biblico di Giobbe (le cui sventure vengono paragonate a quelle del Capalti) con accenti violenti e grotteschi non del tutto indegni dell'antico, sopito, artefice dei Sonetti (notevoli anche alcuni accenti autobiografici: testo davvero interessante). (3)