Lot Essay
Inedita e non documentata per provenienza, questa straordinaria veduta di Napoli dalle pendici del Vesuvio si aggiunge alle tre attualmente identificate (R. Toledano, Antonio Joli:Modena 1700-1777 Napoli, Torino 2006, N.II.1,2,3)e ad altre due note solo grazie a vecchie riproduzioni, che ne condividono l'impianto e il punto di vista.
L'iscrizione apposta all'angolo inferiore destro, che riproduce verosimilmente una scritta più antica forse al verso della tela originale, ne certifica l'esecuzione nel 1760 con sicuro anticipo sulle altre versioni note che, per diversi motivi, appaiono databili nei primi anni Settanta. Di poco inferiore per dimensioni all'esemplare nel museo di San Martino a Napoli, e appena più grande di quello nella raccolta di Banca Intesa, entrambi caratterizzati dall'atmosfera dorata che avvolge l'area dei Campi Flegrei, il nostro dipinto ne differisce sostanzialmente per l'assoluta nitidezza con cui, nella luce fredda di un mattino invernale, la città e la costa sono indagate con tratto sicuro ed esattamente descritte fino all'orizzonte, peraltro esaltato dall'impeccabile stato di conservazione.
Dichiarato nella citata iscrizione come posto sul monte Vesuvio, il punto di vista è stato più esattamente identificato in una località attualmente nota come "Belvedere" nei pressi del complesso monastico di San Vito, a monte del casale di San Giorgio a Cremano (cfr. M. Furnari, "Urbis Neapolitanae Delineatio", in All'ombra del Vesuvio. Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento. Catalogo della mostra, Napoli 1990, pp. 50-51). Presa da un'altitudine di circa duecento metri, la veduta mostra la città nella sua intera estensione, descrivendola minuziosamente dal ponte della Maddalena, con l'adiacente quartiere detto de'Cavalli, fino alle isole di Ischia e Procida oltre i Campi Flegrei. Inarcata sul golfo solcato da navi, la città è conclusa all'interno dalle emergenze collinari coronate dal complesso della Certosa di San Martino e dal nuovissimo palazzo di Capodimonte. Ai piedi della terrazza corre la striscia di litorale compresa tra la Marinella e Portici in cui si riconoscono i mulini, la chiesa di Sant'Iorio e la parrocchia di Portici, oltre a diverse costruzioni rustiche.
Come è noto, la stessa immagine della città è incisa alla base della cosiddetta "Pianta Carafa", ovvero la "Mappa topografica della città di Napoli e de'suoi contorni" progettata e fatta eseguire da Giovanni Carafa, Duca di Noja, e pubblicata nel 1775 a conclusione di una travagliata gestazione (cfr. A. Blessich, in "Napoli Nobilissima" IV, 1895, pp. 183-85; V, 1896, pp. 74-77). Nato nel 1715 e già nel 1738 titolare dell'insegnamento di ottica e matematica presso lo Studio di Napoli, Giovanni Carafa aveva pubblicato nel 1750 la Lettera ad un amico contenente alcune considerazioni sull'utilità e gloria che si trarrebbe da una esatta carta topografica di Napoli e del suo Contado in cui, attraverso la proposta di tracciare una mappa della città più grande d'Italia quale strumento conoscitivo e progettuale, possiamo leggere una delle più ampie discussioni pubblicate nel Settecento sui problemi urbanistici, economici e politici della capitale del regno (cfr. F. Venturi, Settecento riformatore, I. Da Muratori a Beccaria 1730-1764, Torino 1969, pp. 545-49). Sebbene il 29 aprile 1750 il Duca si fosse impegnato con la magistratura cittadina a portare a termine il suo progetto in soli due anni e mezzo, la pianta monumentale composta di trentacinque fogli vide la luce solo nel 1775 dopo ripetute dilazioni e rinnovati accordi ma, soprattutto, sette anni dopo la morte del suo ideatore, avvenuta nel 1768.
È del tutto verosimile che il dipinto di Antonio Joli qui presentato si riferisca a questo progetto, così tipico dell'Età dei Lumi. Al limite della terrazza, il personaggio intento a rilevare la costa con "l'ingegnosissimo metodo della tavoletta e del livello" (Lettera... 1750) è senza dubbio il gromatico Vanti, citato come assistente del Duca e autore dell'intera delineazione geometrica; al centro, tre personaggi tra cui probabilmente il Duca stesso dispiegano una mappa, commentandola. Sappiamo peraltro che nel 1760, anno del nostro dipinto, l'esecuzione della pianta era sufficientemente avanzata perché se ne potesse progettare la stampa. Già nel 1756 erano infatti iniziati i lavori di incisione da parte del romano Pietro Carafa; nel gennaio 1761 alcune lettere scritte da Napoli da Luigi Vanvitelli si riferiscono ai campioni di carta richiesti a Roma per conto del Duca: "...per fare solo duemila impressioni della pianta della città, per ognuna di numero trentacinque fogli, vi occorrono 70.000 fogli che va in circa 4.550 scudi romani..." (Le lettere di Luigi Vanvitelli dalla Biblioteca Palatina di Caserta. A cura di Franco Strazzullo, Galatina 1976, lettere 831-32).
È dunque in questo contesto che Antonio Joli esegue il disegno per la veduta prospettica della città destinata a completare la mappa, appunto quella che qui vediamo dipinta quindici anni prima della conclusione di quel progetto.
L'artista modenese era tornato a Napoli nel 1759, dopo un soggiorno a metà del sesto decennio principalmente legato all'esecuzione delle vedute della città commissionate da Lord Brudenell. È ancora Luigi Vanvitelli, curioso di notizie sulla corte spagnola presso la quale era stato invitato, ad informarci del fatto che Antonio Joli "che dipinge bene di prospettive di Teatri ed anche le vedute sullo stile di... nostro padre... se ne ritornò di Spagna e ora sta in Napoli" (Lettera 634, 21 aprile 1759). Oltre a dipingere la più antica veduta dei templi di Paestum da poco riscoperti, nel 1759 Joli riceve l'incarico per la raffigurazione della partenza di Carlo di Borbone per la Spagna che replicherà in diversi esemplari, mentre nel 1760 firma e data una veduta di Napoli da Oriente. Nominato scenografo di corte nel novembre 1762, Joli si trasferisce definitivamente a Napoli dove sarà responsabile del teatro reale e autore di numerose vedute della città quale sfondo di parate e di cerimonie ufficiali, replicate anche per le principali corte europee.
È appunto il giovane sovrano Ferdinando IV a distinguere con la sua presenza le altre versioni note della veduta di Napoli dal Vesuvio, verosimilmente a partire dal più importante esemplare nel museo di San Martino. Accompagnato da gentiluomini della corte e in costume da caccia, il suo passatempo preferito, il re riceve l'omaggio di diversi personaggi al centro della terrazza belvedere. Nato nel 1751, Ferdinando compare sempre in età adulta e quindi non prima della fine degli anni Sessanta o all'inizio del decennio successivo, offrendo un riferimento cronologico per l'esecuzione di questa serie di vedute circa dieci anni dopo l'esemplare qui offerto.
L'iscrizione apposta all'angolo inferiore destro, che riproduce verosimilmente una scritta più antica forse al verso della tela originale, ne certifica l'esecuzione nel 1760 con sicuro anticipo sulle altre versioni note che, per diversi motivi, appaiono databili nei primi anni Settanta. Di poco inferiore per dimensioni all'esemplare nel museo di San Martino a Napoli, e appena più grande di quello nella raccolta di Banca Intesa, entrambi caratterizzati dall'atmosfera dorata che avvolge l'area dei Campi Flegrei, il nostro dipinto ne differisce sostanzialmente per l'assoluta nitidezza con cui, nella luce fredda di un mattino invernale, la città e la costa sono indagate con tratto sicuro ed esattamente descritte fino all'orizzonte, peraltro esaltato dall'impeccabile stato di conservazione.
Dichiarato nella citata iscrizione come posto sul monte Vesuvio, il punto di vista è stato più esattamente identificato in una località attualmente nota come "Belvedere" nei pressi del complesso monastico di San Vito, a monte del casale di San Giorgio a Cremano (cfr. M. Furnari, "Urbis Neapolitanae Delineatio", in All'ombra del Vesuvio. Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento. Catalogo della mostra, Napoli 1990, pp. 50-51). Presa da un'altitudine di circa duecento metri, la veduta mostra la città nella sua intera estensione, descrivendola minuziosamente dal ponte della Maddalena, con l'adiacente quartiere detto de'Cavalli, fino alle isole di Ischia e Procida oltre i Campi Flegrei. Inarcata sul golfo solcato da navi, la città è conclusa all'interno dalle emergenze collinari coronate dal complesso della Certosa di San Martino e dal nuovissimo palazzo di Capodimonte. Ai piedi della terrazza corre la striscia di litorale compresa tra la Marinella e Portici in cui si riconoscono i mulini, la chiesa di Sant'Iorio e la parrocchia di Portici, oltre a diverse costruzioni rustiche.
Come è noto, la stessa immagine della città è incisa alla base della cosiddetta "Pianta Carafa", ovvero la "Mappa topografica della città di Napoli e de'suoi contorni" progettata e fatta eseguire da Giovanni Carafa, Duca di Noja, e pubblicata nel 1775 a conclusione di una travagliata gestazione (cfr. A. Blessich, in "Napoli Nobilissima" IV, 1895, pp. 183-85; V, 1896, pp. 74-77). Nato nel 1715 e già nel 1738 titolare dell'insegnamento di ottica e matematica presso lo Studio di Napoli, Giovanni Carafa aveva pubblicato nel 1750 la Lettera ad un amico contenente alcune considerazioni sull'utilità e gloria che si trarrebbe da una esatta carta topografica di Napoli e del suo Contado in cui, attraverso la proposta di tracciare una mappa della città più grande d'Italia quale strumento conoscitivo e progettuale, possiamo leggere una delle più ampie discussioni pubblicate nel Settecento sui problemi urbanistici, economici e politici della capitale del regno (cfr. F. Venturi, Settecento riformatore, I. Da Muratori a Beccaria 1730-1764, Torino 1969, pp. 545-49). Sebbene il 29 aprile 1750 il Duca si fosse impegnato con la magistratura cittadina a portare a termine il suo progetto in soli due anni e mezzo, la pianta monumentale composta di trentacinque fogli vide la luce solo nel 1775 dopo ripetute dilazioni e rinnovati accordi ma, soprattutto, sette anni dopo la morte del suo ideatore, avvenuta nel 1768.
È del tutto verosimile che il dipinto di Antonio Joli qui presentato si riferisca a questo progetto, così tipico dell'Età dei Lumi. Al limite della terrazza, il personaggio intento a rilevare la costa con "l'ingegnosissimo metodo della tavoletta e del livello" (Lettera... 1750) è senza dubbio il gromatico Vanti, citato come assistente del Duca e autore dell'intera delineazione geometrica; al centro, tre personaggi tra cui probabilmente il Duca stesso dispiegano una mappa, commentandola. Sappiamo peraltro che nel 1760, anno del nostro dipinto, l'esecuzione della pianta era sufficientemente avanzata perché se ne potesse progettare la stampa. Già nel 1756 erano infatti iniziati i lavori di incisione da parte del romano Pietro Carafa; nel gennaio 1761 alcune lettere scritte da Napoli da Luigi Vanvitelli si riferiscono ai campioni di carta richiesti a Roma per conto del Duca: "...per fare solo duemila impressioni della pianta della città, per ognuna di numero trentacinque fogli, vi occorrono 70.000 fogli che va in circa 4.550 scudi romani..." (Le lettere di Luigi Vanvitelli dalla Biblioteca Palatina di Caserta. A cura di Franco Strazzullo, Galatina 1976, lettere 831-32).
È dunque in questo contesto che Antonio Joli esegue il disegno per la veduta prospettica della città destinata a completare la mappa, appunto quella che qui vediamo dipinta quindici anni prima della conclusione di quel progetto.
L'artista modenese era tornato a Napoli nel 1759, dopo un soggiorno a metà del sesto decennio principalmente legato all'esecuzione delle vedute della città commissionate da Lord Brudenell. È ancora Luigi Vanvitelli, curioso di notizie sulla corte spagnola presso la quale era stato invitato, ad informarci del fatto che Antonio Joli "che dipinge bene di prospettive di Teatri ed anche le vedute sullo stile di... nostro padre... se ne ritornò di Spagna e ora sta in Napoli" (Lettera 634, 21 aprile 1759). Oltre a dipingere la più antica veduta dei templi di Paestum da poco riscoperti, nel 1759 Joli riceve l'incarico per la raffigurazione della partenza di Carlo di Borbone per la Spagna che replicherà in diversi esemplari, mentre nel 1760 firma e data una veduta di Napoli da Oriente. Nominato scenografo di corte nel novembre 1762, Joli si trasferisce definitivamente a Napoli dove sarà responsabile del teatro reale e autore di numerose vedute della città quale sfondo di parate e di cerimonie ufficiali, replicate anche per le principali corte europee.
È appunto il giovane sovrano Ferdinando IV a distinguere con la sua presenza le altre versioni note della veduta di Napoli dal Vesuvio, verosimilmente a partire dal più importante esemplare nel museo di San Martino. Accompagnato da gentiluomini della corte e in costume da caccia, il suo passatempo preferito, il re riceve l'omaggio di diversi personaggi al centro della terrazza belvedere. Nato nel 1751, Ferdinando compare sempre in età adulta e quindi non prima della fine degli anni Sessanta o all'inizio del decennio successivo, offrendo un riferimento cronologico per l'esecuzione di questa serie di vedute circa dieci anni dopo l'esemplare qui offerto.