Lot Essay
Il presente dipinto, mai esposto fino ad oggi e noto alla letteratura solo da fotografie (cf. S. Schütze - T.W. Willette, op. cit.), è stato datato al 1630 circa in base alla sua possibile identificazione con una Annunciazione commissionata in tale anno a Massimo Stanzione per la chiesa napoletana della Santissima Annunziata (cf. P. L. Leone de Castris, cit.; S. Schütze - T.W. Willette, op. cit., p. 257). La effettiva esistenza del dipinto di Stanzione sarebbe anche confermata dalla presenza nel 1715 nella collezione napoletana del Principe Giacomo Zurlo di 'Una Nuntiata, misura 7 e 5 [palmi napoletani], cornice intagliata indorata, mano di Annella di Massimo copiata dall'Annunciata di Napoli'. Dato che Annella De Rosa dipingeva nello studio di Stanzione, la 'Annunciata di Napoli' potrebbe ben essere quella dipinta da Stanzione. Le misure dell'opera di Annella De Rosa sono leggermente inferiori a quelle del presente dipinto (sette palmi napoletani per cinque corrispondono a circa 170 centimetri per 120), ma ciò non impedisce di ipotizzare che il presente dipinto possa essere proprio quello prodotto da Stanzione per l'Annunziata di Napoli. Dopo l'incendio che distrusse quasi totalmente la chiesa e la sua ricostruzione settecentesca di Luigi Vanvitelli è oggi impossibile indicare l'ubicazione originaria dell'opera; in ogni caso quella qui offerta entrò nel secolo scorso nella Collezione del Conte Galante.
Il dipinto mostra strette affinità stilistiche rispetto ad opere prodotte da Stanzione all'inizio del quarto decennio del Seicento: la Santa Caterina d'Alessandria a Roma, Collezione Lemme, la Assunta a Raleigh, North Carolina Museum of Art, la Madonna e San Pietro appaiono a San Bruno e ai suoi compagni a Napoli, Certosa di San Martino, Cappella di San Bruno, e anche rispetto ad alcuni dettagli delle Storie di San Giovanni Battista a Madrid, Prado.
Lo schema compositivo del presente dipinto, con l'angelo in piedi su una nuvola e la Vergine inginocchiata - le dita della mano sinistra in un breviario, la mano destra fissata in un gesto di sorpresa che quasi vorrebbe bloccare l'incedere dell'angelo - non è raro nella pittura napoletana tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento. Lo si ritrova, ad esempio, nella Annunciazione del primo maestro di Stanzione, Fabrizio Santafede, datata 1621, già presso Finarte, Roma, 2-VI-1987, lotto 221 (cf. P. L. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli 1573-1606, l'ultima maniera, Napoli, 1991, p. 281, n. n. 55, ill. a p. 282). In ogni caso il modo in cui Stanzione rielabora tale schema non ha più nulla della tradizione tardomanierista napoletana. La semplificazione degli elementi della composizione, che palesa la sintonia di Stanzione con le invenzioni di Simon Vouet e di Guido Reni; i panneggi dai colori squillanti, stesi con una sicurezza di ductus e senza risparmio sul pregio dei pigmenti; l'intensità psicologica del rapporto tra le figure, sono una delle punte della pittura napoletana della prima metà del Seicento, e mostrano al meglio uno dei rari esempi di pala d'altare di Stanzione mai transitati sul mercato.
Una attenzione specifica alla natura morta è rappresentata dalla cesta da cucito in primo piano, colma di panni e bende e sormontata da un paio di forbici - un dettaglio di vita domestica di forte peso nell'economia dell'immagine - che non è solo un ricordo di simili dettagli in opere di caravaggismo internazionale come la Sacra Famiglia, Santa Elisabetta e San Giovannino di Orazio Borgianni a Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica (1621), ma mostra una abilità specifica di Stanzione, espressa nei particolari di natura morta di opere come la Donna in costume con gallo a San Francisco, The Fine Art Museum of San Francisco; la Santa Dorotea già a Buenos Aires, Collezione Mauro Herlitzka; o la Sacra Famiglia a Sarasota, John and Mable Ringling Museum of Art (cf. S. Schütze - T.W. Willette, op. cit., p. 51, tav. col. XVII; p. 55; tav. col. XIX; p. 87, tav. col. XXV).
L'impatto della luce sulla trama dei vimini della cesta, sul cuscino grigio, sul candore dei lini, è coerente con lo splendore del raso color indaco della veste dell'angelo e con la squillante tavolozza dell'abito della Vergine. Questa ricercatezza di effetti pittorici indica di per sé le ragioni del primato di Stanzione nella pittura napoletana della prima metà del Seicento, ma non si esaurisce in un mero esercizio di stile: la levità dell'incedere dell'angelo, la sorpresa sul volto della Vergine e la sua composta reazione, mostrano una capacità di esplorare la condizione emotiva dei due protagonisti ad un livello che ben motiva il soprannome di 'Guido napoletano' conferito a Stanzione dallo storico dell'arte settecentesco Bernardo de' Dominici.
Il dipinto mostra strette affinità stilistiche rispetto ad opere prodotte da Stanzione all'inizio del quarto decennio del Seicento: la Santa Caterina d'Alessandria a Roma, Collezione Lemme, la Assunta a Raleigh, North Carolina Museum of Art, la Madonna e San Pietro appaiono a San Bruno e ai suoi compagni a Napoli, Certosa di San Martino, Cappella di San Bruno, e anche rispetto ad alcuni dettagli delle Storie di San Giovanni Battista a Madrid, Prado.
Lo schema compositivo del presente dipinto, con l'angelo in piedi su una nuvola e la Vergine inginocchiata - le dita della mano sinistra in un breviario, la mano destra fissata in un gesto di sorpresa che quasi vorrebbe bloccare l'incedere dell'angelo - non è raro nella pittura napoletana tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento. Lo si ritrova, ad esempio, nella Annunciazione del primo maestro di Stanzione, Fabrizio Santafede, datata 1621, già presso Finarte, Roma, 2-VI-1987, lotto 221 (cf. P. L. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli 1573-1606, l'ultima maniera, Napoli, 1991, p. 281, n. n. 55, ill. a p. 282). In ogni caso il modo in cui Stanzione rielabora tale schema non ha più nulla della tradizione tardomanierista napoletana. La semplificazione degli elementi della composizione, che palesa la sintonia di Stanzione con le invenzioni di Simon Vouet e di Guido Reni; i panneggi dai colori squillanti, stesi con una sicurezza di ductus e senza risparmio sul pregio dei pigmenti; l'intensità psicologica del rapporto tra le figure, sono una delle punte della pittura napoletana della prima metà del Seicento, e mostrano al meglio uno dei rari esempi di pala d'altare di Stanzione mai transitati sul mercato.
Una attenzione specifica alla natura morta è rappresentata dalla cesta da cucito in primo piano, colma di panni e bende e sormontata da un paio di forbici - un dettaglio di vita domestica di forte peso nell'economia dell'immagine - che non è solo un ricordo di simili dettagli in opere di caravaggismo internazionale come la Sacra Famiglia, Santa Elisabetta e San Giovannino di Orazio Borgianni a Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica (1621), ma mostra una abilità specifica di Stanzione, espressa nei particolari di natura morta di opere come la Donna in costume con gallo a San Francisco, The Fine Art Museum of San Francisco; la Santa Dorotea già a Buenos Aires, Collezione Mauro Herlitzka; o la Sacra Famiglia a Sarasota, John and Mable Ringling Museum of Art (cf. S. Schütze - T.W. Willette, op. cit., p. 51, tav. col. XVII; p. 55; tav. col. XIX; p. 87, tav. col. XXV).
L'impatto della luce sulla trama dei vimini della cesta, sul cuscino grigio, sul candore dei lini, è coerente con lo splendore del raso color indaco della veste dell'angelo e con la squillante tavolozza dell'abito della Vergine. Questa ricercatezza di effetti pittorici indica di per sé le ragioni del primato di Stanzione nella pittura napoletana della prima metà del Seicento, ma non si esaurisce in un mero esercizio di stile: la levità dell'incedere dell'angelo, la sorpresa sul volto della Vergine e la sua composta reazione, mostrano una capacità di esplorare la condizione emotiva dei due protagonisti ad un livello che ben motiva il soprannome di 'Guido napoletano' conferito a Stanzione dallo storico dell'arte settecentesco Bernardo de' Dominici.