Ubaldo Oppi (1889-1946)

Studio per la figlia di Jefte

Details
Ubaldo Oppi (1889-1946)
Studio per la figlia di Jefte
firmato e datato in basso a destra Oppi 1925/27; firma, titolo e data sul retro Ubaldo Oppi, Studio per la figlia di Jefte, 1925

olio su cartone
cm 41x66,5
Eseguito nel 1925-27
Provenance
Acquisito direttamente dall'artista

Lot Essay

DALLA COLLEZIONE NINO SOFIA, PALERMO

I quadri di Ubaldo Oppi evidenziano la sua formazione mitteleuropea. Tra il 1907 e il 1921 ha frequentato l'Accademia di Gustav Klimt a Vienna, visitato la Germania e i paesi dell'Europa orientale, e vissuto per un lungo periodo, dal 1911 con una parentesi durante la Grande Guerra, a Parigi. Le tele di questi anni evidenziano le suggestioni di un simbolismo che in qualche modo si legge, sia pure tra le righe, anche nelle opere della maturit.

Tornato in Italia, Oppi guarda in modo diverso dagli altri artisti del rappel l'ordre - con un segno e una tavolozza del tutto riconoscibili - alla grande pittura italiana del Quattrocento, rielaborata con l'occhio - ambiguo e conturbante - di un dracin della realt. Come tanti maestri dell'arte del nostro secolo, Oppi ritorna al Museo: "Tutte le strade conducono al Louvre, anche quelle che batteva Czanne [....], cio alla conoscenza delle grandi scuole ricchissime di personalit, le quali, un artista che oltre ad una buona dose d'intellettualismo abbia anche un tanto d'istinto, pu sondare prendendole come unit di misura d'un sistema pittorico ideale", scrive il critico Michele Biancale nel 1926. Gi a Parigi era stato attratto dalle sale del Louvre ora, nelle "nuove" composizioni degli anni Venti, Oppi analizza la natura e i valori dell'uomo proprio guardandoli attraverso la lente della pittura classica. Nel Museo "cercava interiorit, chiarezza, ordine; intendeva vagliare, sulla scorta dei grandi nomi del passato, il valore dell'uomo e quello della natura in un quadro; ripudiava gi con l'istinto lo schema disegnativo cerebrale e astratto per alleargli un colorismo emotivo, meno ricco di cromie atomiche che di accordi tonali. Non difficile, nella vastissima produzione dell'Oppi delimitare in un ciclo di opere il raggio di questa influenza del passato".

Alla Biennale di Venezia del 1924 ottiene, con la presentazione di Ugo Ojetti, una sala personale che, se provoca la rottura con il gruppo dei Sette pittori del Novecento italiano - da lui fondato con Sironi, Funi, Marussig, Dudreville, Bucci e Malerba - lancia la sua pittura verso un successo di respiro internazionale. Come ha osservato Maurizio Fagiolo dell'Arco, "in questa sala si pu gi leggere la trasformazione della pittura di Oppi, che allenta le tensioni, gonfia le forme, ammorbidisce il colore, quasi con compiacimento, abbandona una certa solennit e un certo distacco, per diventare pi familiare". Per Ojetti, "con la sua arte egli vuole parlare a tutti. [..] La figura umana piena, bella e robusta, a dominio del paesaggio di fondo, il suo idolo". Infatti arrivano successi importanti: nel 1925 gli viene attribuito un riconoscimento (insieme a una gratifica di mille dollari) al prestigioso Premio del Carnegie Institute di Pittsburgh, e viene presentato come uno dei massini esponenti del nuovo linguaggio europeo - il Magischer Realismus - nei testi pubblicati in Germania da due teorici fondamentali come Franz Roh e Rom Landau.

Sono gli anni migliori di Oppi. I risultati a cui approda nella sua ricerca sono suggestivi. Se de Chirico aveva teorizzato la necessit di copiare le sculture antiche, Oppi porta pi avanti il discorso: dipinge una statua vivente. Questo Studio per "La figlia di Jefte", preziosa replica con varianti del quadro pubblicato da Biancale nel 1926, mostra anche la conoscenza della scultura berniniana - si pensi alla Beata Ludovica Albertoni nella chiesa romana di San Francesco a Ripa - vista con gli occhi di chi ha amato, negli Uffizi, Il Tiziano della Venere di Urbino. Ma il poeta, capace di turbare lo spettatore dipingendo il corpo umano e, in modo particolare, la figura femminile con un raffinato e ambiguo, erotismo - come in Le Amiche, del 1924 - o in modo freddamente oggettivo - come nel Nudo disteso eseguito nel 1925 - si rivela anche un grande paesaggista. Se nel Risveglio di Diana del 1923, colloca una donna senza veli in una veduta quattrocentesca, in questa Figlia di Jefte lo sfondo interagisce con la figura umana in un gioco continuo di scambi. Assistiamo a un dialogo muto. Le curve si parlano: la chioma, i fianchi, le braccia e i seni dela donna vivono un rapporto stretto - sensuale - con le colline, i tronchi e i rami dei due alberi, i panneggi bianchi e blu, le rocce e quella linea dell'orizzonte dove il cielo trascolora in un blu intenso che prelude all'arrivo della notte. La figura femminile, atteggiata in una posa languida e plastica, comunica un eros sottile: una sensualit raffinata piuttosto che un'aperta sessualit.

Gi nel 1926 Michele Biancale coglieva in questa personale rielaborazione dell'antico qualcosa di particolare: si avverte "in certi solenni simulacri distesi come nella "Figlia di Jefte" un senso disegnativo per qualcosa di enorme ch' nella sua ispirazione di compiere: come un'idealit verso l'affresco, verso la grande pala d'altare, gi quasi realizzata in quella di S. Venanzio. Si ha come l'impressione che Oppi riprenda a misurare il corpo umano alla stregua delle fluttuazioni sinuose delle colline che creano come equivalenze lineari ai corpi nudi, distesi". Ma la contradizione tra l'elegante cantore di un erotismo comunque inquietante e lo straordinario pittore sacro - la Pala di San Venanzio nella chiesa di Valdobbiadene proprio del 1925, mentre gli affreschi per la Cappella di San Francesco nella Basilica del Santo a Padova sono del 1927/32 - solo apparente. L'artista Tullio Garbardi, un amico con Severini - un ateo che dipinge interi cicli di pittura religiosa - dagli anni di Parigi, la spiega in modo chiaro: "le cose umane e prossime hanno un accento che non pu essere certamente meno religioso, ricreato nell'alone che emana da questa veridica sapienza".

In una lettera del maggio 1927 l'artista si mostra molto soddisfatto di questo quadro: A me sembra uno dei migliori (anzi ne sono certo) da me dipinti in questi ultimi due anni". E' forse il massimo apprezzamento per un dipinto dal fascino sottile e seduttivo, che attira lo sguardo e sollecita i sensi dello spettatore, invitandolo a partecipare ai colloqui in corso tra la donna e il paesaggio.