Lot Essay
Il dipinto, considerato come 'attribuito' a Filippo Napoletano e intitolato 'Aeneas and the Sibyl in the Underworld' al momento del passaggio in asta a Londra nel 1991, è stato in seguito pubblicato da Marco Chiarini come opera autografa del pittore. Secondo lo studioso "In modo inequivocabile il mondo fantastico creato dallo Swanenburgh lo ritroviamo anche in un quadro [di Filippo Napoletano] con 'Enea condotto agli Inferi dalla Sibilla' comparso qualche anno fa a una vendita all'asta a Londra (fig. 12) e da noi già segnalato in rapporto ad almeno un disegno a Lille, che ci dice quanto profondamente l'insegnamento del pittore fiammingo avesse agito su Filippo, che se ne ricordò ancora durante il suo soggiorno fiorentino [1617-21]. Il dipinto può essere infatti datato a nostro avviso a quel momento per l'evidente influsso che la pittura locale esercita sulle figure della Sibilla e di Enea e anche perché vi compaiono scheletri di animali che ritornano nel celebre libretto inciso per il Faber, come il cavallo sul quale galoppa la morte armata di falce o il cane che porta in volo sul dorso una strega nuda, o il 'pesce cappone'. La facoltà che Filippo dimostra di sfruttare ai fini di una rappresentazione 'storica' la sua capacità di illustratore 'naturalistico' è chiarita nell'ammirevole serie già citata degli scheletri che gli era stata richiesta per scopi scientifici dall'archiatra pontificio Giovanni Faber, amico di Galileo e che mise di mezzo il grande astronomo per avere le stampe richieste al Napoletano: fin dal frontespizio l'artista non rappresenta però gli scheletri come 'oggetti' ma come personaggi parlanti attraverso gli atteggiamenti assunti e le scritte che accompagnano le raffigurazioni e ai quali si può poi dare un ruolo figurato come accade nelle trasposizioni pittoriche. Per la stessa ragione, la medesima evidenza naturalistica è dei corpi, sia umani sia animali, una volta che ritrovano la loro apparenza normale di esseri rivestiti di carne, muscoli e pelle" (p. 60). La cultura visiva alchemica, diffusasi alla fine del Cinquecento in Italia ad opera di artisti soprattutto fiamminghi e olandesi, vide in Filippo Napoletano uno dei suoi principali esponenti. La sua produzione di scene stregonesche, di sabba, di episodi della Divina Commedia, dell'Odissea o dell'Eneide in cui l'elemento principale è dato dalla resa 'gotica' e fantasiosa di Inferni o di raffigurazioni dell'Ade, si collega da un lato all' 'Antirinascimento' di un Giordano Bruno o di un Tommaso Campanella, dall'altro produce una pseudo-natura popolata da animali mostruosi, totalmente immaginati ma delineati alla perfezione e spesso tradotti in stampe. Una fisiognomica antropomorfa e zoomorfa al tempo stesso, parallela a quella ideata da Giovan Battista Della Porta, segna questa pittura da wunderkammer, che probabilmente Filippo d'Angeli apprese da Jan van Swanenburgh durante il soggiorno napoletano di questo pittore (1605), e che fu alimentata sia a Firenze sia a Napoli dalle stampe di Jan de Gheyn III e dalle opere del Lorenese Francois de Nomé, di Stefano della Bella e di Vincenzo Mannozzi. Questa linea di ricerca sarebbe stata ripresa più avanti nel Seicento da Salvator Rosa in alcune opere dei suoi anni fiorentini, e dai suoi epigoni olandesi Matthias Withoos e Otto Marseus van Schrieck.