Lot Essay
Il dipinto proviene dalla chiesa di San Niccolò di Altomena, nel comune di Pelago ai confini tra Val di Sieve e Valdarno, per la quale fu probabilmente eseguito rimanendovi fino alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso.
La chiesa faceva parte del castello appartenuto anticamente ai conti Guidi, e nel Cinquecento ai Serzelli: questi ultimi vanno riconosciuti come probabili committenti della pala, la cui destinazione originaria appare confermata dalla presenza di S. Nicola, raffigurato in posizione di rilievo accanto al trono della Vergine.
Pubblicata per la prima volta come opera eseguita a Firenze all'inizio del Cinquecento da un anonimo seguace di Domenico Ghirlandaio, la pala è stata giustamente restituita da Anna Padoa Rizzo al catalogo di Agnolo e Donnino del Mazziere, titolari di una importante bottega fiorentina responsabile, secondo la studiosa, del gruppo di opere generalmente riferito al cosiddetto Maestro di Santo Spirito.
Il corpus di quest'ultimo, così chiamato a partire da tre importanti pale d'altare nella chiesa omonima a Firenze, era stato definito da Federico Zeri (Eccentrici fiorentini, in 'Bollettino d'Arte', 1962, pp. 218 e 236, nota 2; Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimora, 1976, I, pp. 108-9, n. 71) sulla traccia di indicazioni manoscritte di Richard Offner.
Il confronto con alcuni fogli conservati agli Uffizi documentati di Agnolo e di Donnino ha consentito alla Padoa Rizzo di dare un nome all'anonimo Maestro, e di riferire l'intero corpus riunito da Zeri alla attività della bottega dei del Mazziere. Fino a quel momento i fratelli erano noti solo per una citazione nelle 'Vite' del Vasari, per il ricordo di Filippo Baldinucci e per alcuni documenti pubblicati dal Bacci (I pittori fiorentini Donnino e Agnolo di Domenico a Pistoia, in 'Rivista d'Arte', 1906, pp. 1-12). Non resta traccia, invece, della loro attività nella pittura a fresco, tecnica nella quale Agnolo sarebbe stato cosí esperto da essere chiamato a lavorare a Roma nella cappella Sistina quale aiuto di Michelangelo.
Di impianto ghirlandaiesco, e insieme fortemente debitrice nei confronti della pala di Cosimo Rosselli per l'altare di San Tommaso in Santo Spirito, il nostro dipinto è datato dalla Padoa Rizzo negli ultimi anni del Quattrocento. La studiosa suggerisce puntuali confronti con la splendida tavola frammentaria nel museo del Petit Palais di Avignone e con la pala dell'Accademia di Venezia, dove i santi che affiancano il trono della Vergine appaiono virtualmente sovrapponibili ai nostri (Cfr. Maestri e Botteghe. Pittura a Firenze alla fine del Quattrocento. Catalogo della mostra, Firenze, 1992, p. 123, n. 3.8). E' appunto il confronto con quest'ultima, vicinissima alla nostra anche nell'impianto architettonico, a consentirci di ricostruire le proporzioni originarie della pala che qui presentiamo, successivamente ingrandita forse per adattarsi ad un altare di più ampie proporzioni. Da sottolineare, infine, il forte richiamo ai modelli di Lorenzo di Credi, individuati da Federico Zeri come componente fondamentale dello stile del Maestro di Santo Spirito.
Il dipinto è notificato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
La chiesa faceva parte del castello appartenuto anticamente ai conti Guidi, e nel Cinquecento ai Serzelli: questi ultimi vanno riconosciuti come probabili committenti della pala, la cui destinazione originaria appare confermata dalla presenza di S. Nicola, raffigurato in posizione di rilievo accanto al trono della Vergine.
Pubblicata per la prima volta come opera eseguita a Firenze all'inizio del Cinquecento da un anonimo seguace di Domenico Ghirlandaio, la pala è stata giustamente restituita da Anna Padoa Rizzo al catalogo di Agnolo e Donnino del Mazziere, titolari di una importante bottega fiorentina responsabile, secondo la studiosa, del gruppo di opere generalmente riferito al cosiddetto Maestro di Santo Spirito.
Il corpus di quest'ultimo, così chiamato a partire da tre importanti pale d'altare nella chiesa omonima a Firenze, era stato definito da Federico Zeri (Eccentrici fiorentini, in 'Bollettino d'Arte', 1962, pp. 218 e 236, nota 2; Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimora, 1976, I, pp. 108-9, n. 71) sulla traccia di indicazioni manoscritte di Richard Offner.
Il confronto con alcuni fogli conservati agli Uffizi documentati di Agnolo e di Donnino ha consentito alla Padoa Rizzo di dare un nome all'anonimo Maestro, e di riferire l'intero corpus riunito da Zeri alla attività della bottega dei del Mazziere. Fino a quel momento i fratelli erano noti solo per una citazione nelle 'Vite' del Vasari, per il ricordo di Filippo Baldinucci e per alcuni documenti pubblicati dal Bacci (I pittori fiorentini Donnino e Agnolo di Domenico a Pistoia, in 'Rivista d'Arte', 1906, pp. 1-12). Non resta traccia, invece, della loro attività nella pittura a fresco, tecnica nella quale Agnolo sarebbe stato cosí esperto da essere chiamato a lavorare a Roma nella cappella Sistina quale aiuto di Michelangelo.
Di impianto ghirlandaiesco, e insieme fortemente debitrice nei confronti della pala di Cosimo Rosselli per l'altare di San Tommaso in Santo Spirito, il nostro dipinto è datato dalla Padoa Rizzo negli ultimi anni del Quattrocento. La studiosa suggerisce puntuali confronti con la splendida tavola frammentaria nel museo del Petit Palais di Avignone e con la pala dell'Accademia di Venezia, dove i santi che affiancano il trono della Vergine appaiono virtualmente sovrapponibili ai nostri (Cfr. Maestri e Botteghe. Pittura a Firenze alla fine del Quattrocento. Catalogo della mostra, Firenze, 1992, p. 123, n. 3.8). E' appunto il confronto con quest'ultima, vicinissima alla nostra anche nell'impianto architettonico, a consentirci di ricostruire le proporzioni originarie della pala che qui presentiamo, successivamente ingrandita forse per adattarsi ad un altare di più ampie proporzioni. Da sottolineare, infine, il forte richiamo ai modelli di Lorenzo di Credi, individuati da Federico Zeri come componente fondamentale dello stile del Maestro di Santo Spirito.
Il dipinto è notificato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.