Lot Essay
‘Con questa formula sono riuscito a dare allo spettatore l’impressione di una calma spaziale, un rigore cosmico, serenità e infinito’
‘With this formula I have succeeded in giving the spectator an impression of spatial calm,cosmic rigour, serenity and infinity’
LUCIO FONTANA
Con un ordine elegante e nitido, i quattro tagli nella tela bianca pura di Concetto spaziale, Attese (1963-64) incarnano il concetto pionieristico dello Spazialismo di Lucio Fontana. Diversamente le perforazioni celesti dei buchi realizzate dall’artista in precedenza, i tagli, che hanno inizio nel 1958-59, trasmettono una sensazione di movimento: particelle ondeggianti nella scia di una meteora, o ampi archi di una cometa a metà orbita. Mentre i buchi lasciavano intravedere solo il territorio oscuro oltre la tela, i tagli aprivano il sipario, per rivelare ciò che Fontana avrebbe definito successivamente ‘la quarta dimensione’. Ha spiegato: “Passa l’infinito di lì,¹passa la luce,¹non c’è bisogno di dipingere…” (L. Fontana, citato in E. Crispolti, ‘Spazialismo e Informale. Gli anni Cinquanta’, in Lucio Fontana, cat. mostra, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1998, p. 146).
Fontana è l’erede del Futurismo, ossessionato dalla nuova potenzialità presente nei progressi della tecnologia. In particolare, l’Era Spaziale, quasi inconcepibile negli anni Quaranta quando il movimento Spazialista di Fontana iniziava a prendere forma, aprì nuove prospettive per l’artista.
Anche a quell’epoca, il Manifesto Blanco, scritto in gran parte sotto la guida di Fontana, dichiarava: “Viviamo l’era meccanica. Il cartone dipinto e il gesso eretto non hanno più ragione di essere” (B. Arias, H. Cazeneuve & M. Fridman, Manifesto Blanco, Buenos Aires, 1946). Di conseguenza, iniziando a forare la tela con i buchi, Fontana sembrava unire ‘l’apertura’ alla bidimensionalità con un gesto che proclamava in modo violento la superfluità della tela stessa. Un atto, quello di forare, presto divenuto qualcosa di più significativo: invece di profanare semplicemente il supporto tradizionalmente identificato da secoli con la pittura occidentale, Fontana creava un idioma visivo dalla bellezza semplice e potente che trascendeva la tela. Anticipando di tanti anni il
primo viaggio spaziale, avvenuto nel 1961, il Secondo Manifesto dello Spazialismo dichiarava: “... se, dapprima, chiuso nelle sue torri, l’artista rappresentò se stesso e il suo stupore e il paesaggio lo vide attraverso i vetri, e poi, disceso dai castelli nelle città, abbattendo le mura e mescolandosi agli altri uomini vide da vicino gli alberi e gli oggetti, oggi, noi, artisti spaziali, siamo evasi dalle nostre città, abbiamo spezzato il nostro involucro, la nostra corteccia fisica e ci siamo guardati dall’alto, fotografando la terra dai razzi in volo’ (L. Fontana, Secondo Manifesto dello Spazialismo, 1948, riprodotto in E. Crispolti, Lucio Fontana: Catalogo Generale, vol. 1, Milano 1986, p. 35). I tagli, sicuri e danzanti, nella superficie bianca di Concetto Spaziale, Attese trasmettono con infinita, acuta chiarezza il senso di meraviglia crescente davanti all’Era Spaziale.
The four slashes in the pure white canvas of Concetto spaziale, Attese (1963-64) capture Lucio Fontana’s pioneering concept of Spatialism with a pristine order and elegance. In contrast to his earlier celestial perforations of the buchi (‘holes’), the tagli (‘cuts’), begun in 1958-59, capture a sense of motion: of particles rippling in the wake of a meteor, or the sweeping arc of a comet mid-orbit. Where the buchi had permitted only a glimpse of the dark territory beyond the canvas, the tagli parted the curtain to reveal what Fontana would later describe as ‘the fourth dimension’. ‘Infinity passes through them, light passes through them’ he elaborated; ‘there is no need to paint’ (L. Fontana, quoted in E. Crispolti, ‘Spatialism and Informel. The Fifties,’ in Lucio Fontana, exh. cat. Palazzo delle Esposizioni, Milan, 1998, p. 146).
Fontana was an heir of the Futurists, obsessed with the new potential offered by advances in technology. In particular, the Space Age, barely conceivable in the 1940s when Fontana’s Spatialist movement first took shape, opened whole new avenues to him. Even then, the Manifesto Blanco, which was compiled largely under Fontana’s direction, had declared that ‘We live in the mechanical age. Painted canvas and upright plaster no longer have a reason to exist’ (B. Arias, H. Cazeneuve & M. Fridman, Manifesto Blanco, Buenos Aires, 1946). Accordingly, when Fontana first began puncturing the canvas with his buchi he appeared to combine the ‘opening’ of the two dimensions with an act that violently proclaimed the redundancy of the canvas itself. This act of piercing very soon developed into something far more profound: with the slashes, rather than merely desecrating the support that had been traditionally associated with Western painting for centuries, Fontana created a visual idiom that transcended the canvas with a simple and confident beauty. Well before spaceflight was achieved in 1961, the Second Spatialist Manifesto had declared: ‘If the artist, locked in his tower, once represented himself and his astonishment and saw the landscape through his windows and then, having come down from the castles into the cities, he mixed with other men and saw from close-up the trees and the objects, now, today, we spatial artists have escaped from the cities, we have shattered our shell, our physical crust, and we have looked at ourselves from above, photographing the earth from rockets in flight’ (L. Fontana, Second Spatialist Manifesto, 1948, reproduced in E. Crispolti, Lucio Fontana: Cataloge Generale, vol. 1, Milan 1986, p. 35). The assured, balletic cuts in the white surface of Concetto Spaziale, Attese convey this sense of unfolding Space Age wonder with exquisite and infinite clarity.
‘With this formula I have succeeded in giving the spectator an impression of spatial calm,cosmic rigour, serenity and infinity’
LUCIO FONTANA
Con un ordine elegante e nitido, i quattro tagli nella tela bianca pura di Concetto spaziale, Attese (1963-64) incarnano il concetto pionieristico dello Spazialismo di Lucio Fontana. Diversamente le perforazioni celesti dei buchi realizzate dall’artista in precedenza, i tagli, che hanno inizio nel 1958-59, trasmettono una sensazione di movimento: particelle ondeggianti nella scia di una meteora, o ampi archi di una cometa a metà orbita. Mentre i buchi lasciavano intravedere solo il territorio oscuro oltre la tela, i tagli aprivano il sipario, per rivelare ciò che Fontana avrebbe definito successivamente ‘la quarta dimensione’. Ha spiegato: “Passa l’infinito di lì,¹passa la luce,¹non c’è bisogno di dipingere…” (L. Fontana, citato in E. Crispolti, ‘Spazialismo e Informale. Gli anni Cinquanta’, in Lucio Fontana, cat. mostra, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1998, p. 146).
Fontana è l’erede del Futurismo, ossessionato dalla nuova potenzialità presente nei progressi della tecnologia. In particolare, l’Era Spaziale, quasi inconcepibile negli anni Quaranta quando il movimento Spazialista di Fontana iniziava a prendere forma, aprì nuove prospettive per l’artista.
Anche a quell’epoca, il Manifesto Blanco, scritto in gran parte sotto la guida di Fontana, dichiarava: “Viviamo l’era meccanica. Il cartone dipinto e il gesso eretto non hanno più ragione di essere” (B. Arias, H. Cazeneuve & M. Fridman, Manifesto Blanco, Buenos Aires, 1946). Di conseguenza, iniziando a forare la tela con i buchi, Fontana sembrava unire ‘l’apertura’ alla bidimensionalità con un gesto che proclamava in modo violento la superfluità della tela stessa. Un atto, quello di forare, presto divenuto qualcosa di più significativo: invece di profanare semplicemente il supporto tradizionalmente identificato da secoli con la pittura occidentale, Fontana creava un idioma visivo dalla bellezza semplice e potente che trascendeva la tela. Anticipando di tanti anni il
primo viaggio spaziale, avvenuto nel 1961, il Secondo Manifesto dello Spazialismo dichiarava: “... se, dapprima, chiuso nelle sue torri, l’artista rappresentò se stesso e il suo stupore e il paesaggio lo vide attraverso i vetri, e poi, disceso dai castelli nelle città, abbattendo le mura e mescolandosi agli altri uomini vide da vicino gli alberi e gli oggetti, oggi, noi, artisti spaziali, siamo evasi dalle nostre città, abbiamo spezzato il nostro involucro, la nostra corteccia fisica e ci siamo guardati dall’alto, fotografando la terra dai razzi in volo’ (L. Fontana, Secondo Manifesto dello Spazialismo, 1948, riprodotto in E. Crispolti, Lucio Fontana: Catalogo Generale, vol. 1, Milano 1986, p. 35). I tagli, sicuri e danzanti, nella superficie bianca di Concetto Spaziale, Attese trasmettono con infinita, acuta chiarezza il senso di meraviglia crescente davanti all’Era Spaziale.
The four slashes in the pure white canvas of Concetto spaziale, Attese (1963-64) capture Lucio Fontana’s pioneering concept of Spatialism with a pristine order and elegance. In contrast to his earlier celestial perforations of the buchi (‘holes’), the tagli (‘cuts’), begun in 1958-59, capture a sense of motion: of particles rippling in the wake of a meteor, or the sweeping arc of a comet mid-orbit. Where the buchi had permitted only a glimpse of the dark territory beyond the canvas, the tagli parted the curtain to reveal what Fontana would later describe as ‘the fourth dimension’. ‘Infinity passes through them, light passes through them’ he elaborated; ‘there is no need to paint’ (L. Fontana, quoted in E. Crispolti, ‘Spatialism and Informel. The Fifties,’ in Lucio Fontana, exh. cat. Palazzo delle Esposizioni, Milan, 1998, p. 146).
Fontana was an heir of the Futurists, obsessed with the new potential offered by advances in technology. In particular, the Space Age, barely conceivable in the 1940s when Fontana’s Spatialist movement first took shape, opened whole new avenues to him. Even then, the Manifesto Blanco, which was compiled largely under Fontana’s direction, had declared that ‘We live in the mechanical age. Painted canvas and upright plaster no longer have a reason to exist’ (B. Arias, H. Cazeneuve & M. Fridman, Manifesto Blanco, Buenos Aires, 1946). Accordingly, when Fontana first began puncturing the canvas with his buchi he appeared to combine the ‘opening’ of the two dimensions with an act that violently proclaimed the redundancy of the canvas itself. This act of piercing very soon developed into something far more profound: with the slashes, rather than merely desecrating the support that had been traditionally associated with Western painting for centuries, Fontana created a visual idiom that transcended the canvas with a simple and confident beauty. Well before spaceflight was achieved in 1961, the Second Spatialist Manifesto had declared: ‘If the artist, locked in his tower, once represented himself and his astonishment and saw the landscape through his windows and then, having come down from the castles into the cities, he mixed with other men and saw from close-up the trees and the objects, now, today, we spatial artists have escaped from the cities, we have shattered our shell, our physical crust, and we have looked at ourselves from above, photographing the earth from rockets in flight’ (L. Fontana, Second Spatialist Manifesto, 1948, reproduced in E. Crispolti, Lucio Fontana: Cataloge Generale, vol. 1, Milan 1986, p. 35). The assured, balletic cuts in the white surface of Concetto Spaziale, Attese convey this sense of unfolding Space Age wonder with exquisite and infinite clarity.