Lot Essay
Cementarmato parabolico (1961) é un grandioso esempio della caratteristica sperimentazione di Giuseppe Uncini con il cemento armato. Risposta radicale alla crisi della pittura nell’Italia del dopoguerra, con la sua distesa di cemento alta e curva, piallata verticalmente su otto facce e attraversata in orizzontale da tondini di ferro, quest’opera ha una potente presenza materiale; la sua
imponente forma parabolica rimanda ad echi monumentali, quasi fosse un frammento di un anfiteatro o di un colosseo.
La celeberrima serie dei Cementarmati deriva da un gruppo di lavori precedenti, le Terre. Realizzate con qualsiasi sostanza od oggetto a disposizione di Uncini, nonostante le Terre si allontanassero dalla tradizione, rimanevano però ancora legate al linguaggio pittorico dell’astrattismo per i loro meccanismi compositivi. Poco dopo questi primi esperimenti formativi, che molto guardano all’opera di Alberto Burri, il giovane artista sviluppò un’insofferenza per il primato della pittura sui materiali e a questo rispose con
i Cementarmati, opere realizzate solamente con tondini di ferro e cemento.
Scegliendo di lavorare solo con questo mezzo industriale, Uncini eliminava la divisione tra superficie strutturale (la tela) e superficie trascendentale (l’immagine), fulcro dell’istanza figurativa della pittura. Il cemento permetteva all’artista di restituire un’unità lampante all’opera d’arte, derivata e descritta in tutto e per tutto dal mezzo stesso. Oltre che per le sue implicazioni teoriche, Uncini sembra aver scelto il cemento armato per la sua risonanza umanistica, in quanto materiale da costruzione, carne e ossa della società urbana moderna. ‘Io lavoro con il cemento e il ferro. Questi materiali li uso con proprietà, nel senso che non li camuffo, che non me ne servo per trarre degli effetti particolari, al contrario, li adopero come si adoperano nei cantieri, per costruire le case, i ponti e le strade, per costruire tutte le cose di cui l’uomo ha bisogno. Alla base di tutto questo c’è la necessità di costruire, di organizzarsi, c’è quel
principio creativo che è all’origine di ogni progresso umano. Questo è quanto nei miei oggetti voglio esprimere.¹ (G. Uncini in conversazione con I. Mussa, in Uncini: I primi e gli ultimi, cat. mostra, CIAC, Foligno 2011, p. 103).
Executed in 1961,Cementarmato parabolico is a striking example of Giuseppe Uncini’s decisive experimentation with reinforced cement, which proposed a radical and unique response to the crisis of painting perceived in postwar Italy. Comprised of a tall, curved expanse of cement, planed vertically into eight facets and run through by nine horizontal rods of iron, the work has a powerful material presence; its grand parabolic form has monumental echoes, like a fragment of amphitheatre or colosseum. The Cementarmato and its related series derives from an earlier group of works, the Terre. Composed of any found object or substance Uncini could find,
the Terre were far from traditional, yet were still attached to the language of abstract painting in their compositional mechanisms. Shortly after these first formative experiments, which were indebted to the work of Alberto Burri, the young artist became impatient with painting’s primacy over the materials themselves: in response to this problem, the¹Cementarmati, built exclusively from iron rods and cement,¹took shape. By choosing to work in this industrial medium, Uncini eliminated the division between the structural surface (the
canvas) and the transcendental surface (the image) that was at the core of painting’s representational claim. Cement allowed Uncini to restore a selfevident unity to the work of art, entirely derived from and described by the medium itself. As well as its theoretical implications, Uncini seems to have chosen reinforced cement especially for its urgent humanist resonance: as the material of construction, the flesh and bone of modern urban society. ‘I work with iron and cement. I use these materials with propriety, meaning
that I do not conceal them or use them to achieve particular effects; on the contrary, I employ them as they are employed in yards, to construct houses, bridges and roads – to construct everything man needs. At the basis of all this there lies a need to build and organize: the creative principle at the root of all human progress. This is what I wish to express through my objects.
These are objects, because painting or sculpture proper always represent or mimic something, whereas I do not wish to mimic or evoke things, roads or bridges, but rather to salvage the principle from which they spring’ (G. Uncini in conversation with I. Mussa, in Uncini: I primi e gli ultimi, exh. cat. CIAC, Foligno 2011, p. 103).
imponente forma parabolica rimanda ad echi monumentali, quasi fosse un frammento di un anfiteatro o di un colosseo.
La celeberrima serie dei Cementarmati deriva da un gruppo di lavori precedenti, le Terre. Realizzate con qualsiasi sostanza od oggetto a disposizione di Uncini, nonostante le Terre si allontanassero dalla tradizione, rimanevano però ancora legate al linguaggio pittorico dell’astrattismo per i loro meccanismi compositivi. Poco dopo questi primi esperimenti formativi, che molto guardano all’opera di Alberto Burri, il giovane artista sviluppò un’insofferenza per il primato della pittura sui materiali e a questo rispose con
i Cementarmati, opere realizzate solamente con tondini di ferro e cemento.
Scegliendo di lavorare solo con questo mezzo industriale, Uncini eliminava la divisione tra superficie strutturale (la tela) e superficie trascendentale (l’immagine), fulcro dell’istanza figurativa della pittura. Il cemento permetteva all’artista di restituire un’unità lampante all’opera d’arte, derivata e descritta in tutto e per tutto dal mezzo stesso. Oltre che per le sue implicazioni teoriche, Uncini sembra aver scelto il cemento armato per la sua risonanza umanistica, in quanto materiale da costruzione, carne e ossa della società urbana moderna. ‘Io lavoro con il cemento e il ferro. Questi materiali li uso con proprietà, nel senso che non li camuffo, che non me ne servo per trarre degli effetti particolari, al contrario, li adopero come si adoperano nei cantieri, per costruire le case, i ponti e le strade, per costruire tutte le cose di cui l’uomo ha bisogno. Alla base di tutto questo c’è la necessità di costruire, di organizzarsi, c’è quel
principio creativo che è all’origine di ogni progresso umano. Questo è quanto nei miei oggetti voglio esprimere.¹ (G. Uncini in conversazione con I. Mussa, in Uncini: I primi e gli ultimi, cat. mostra, CIAC, Foligno 2011, p. 103).
Executed in 1961,Cementarmato parabolico is a striking example of Giuseppe Uncini’s decisive experimentation with reinforced cement, which proposed a radical and unique response to the crisis of painting perceived in postwar Italy. Comprised of a tall, curved expanse of cement, planed vertically into eight facets and run through by nine horizontal rods of iron, the work has a powerful material presence; its grand parabolic form has monumental echoes, like a fragment of amphitheatre or colosseum. The Cementarmato and its related series derives from an earlier group of works, the Terre. Composed of any found object or substance Uncini could find,
the Terre were far from traditional, yet were still attached to the language of abstract painting in their compositional mechanisms. Shortly after these first formative experiments, which were indebted to the work of Alberto Burri, the young artist became impatient with painting’s primacy over the materials themselves: in response to this problem, the¹Cementarmati, built exclusively from iron rods and cement,¹took shape. By choosing to work in this industrial medium, Uncini eliminated the division between the structural surface (the
canvas) and the transcendental surface (the image) that was at the core of painting’s representational claim. Cement allowed Uncini to restore a selfevident unity to the work of art, entirely derived from and described by the medium itself. As well as its theoretical implications, Uncini seems to have chosen reinforced cement especially for its urgent humanist resonance: as the material of construction, the flesh and bone of modern urban society. ‘I work with iron and cement. I use these materials with propriety, meaning
that I do not conceal them or use them to achieve particular effects; on the contrary, I employ them as they are employed in yards, to construct houses, bridges and roads – to construct everything man needs. At the basis of all this there lies a need to build and organize: the creative principle at the root of all human progress. This is what I wish to express through my objects.
These are objects, because painting or sculpture proper always represent or mimic something, whereas I do not wish to mimic or evoke things, roads or bridges, but rather to salvage the principle from which they spring’ (G. Uncini in conversation with I. Mussa, in Uncini: I primi e gli ultimi, exh. cat. CIAC, Foligno 2011, p. 103).