Where there is no symbol Christie's generally sell… Read more
MARIN, Biagio (1891-1985). Il presente grande archivio di manoscritti, in versi e in prosa, di Biagio Marin, contribuirà a far luce nel dettaglio su una delle figure più affascinanti, e insieme appartate, del Novecento letterario italiano. Il poeta di Grado - che come ricordò in tante interviste su consiglio di un'amica scelse di scrivere i suoi versi, anziché in italiano, nel dialetto della sua isola che nessuna scrittura letteraria aveva mai registrato sino ad allora - ha accompagnato lo svolgersi del secolo con una continuità, e un'apparente imperturbabilità ("il non tempo del mare", come splendidamente scrisse Pier Paolo Pasolini nel saggio che più ha contato nella giusta valorizzazione di questa voce unica, nel panorama poetico del nostro paese; e lo stesso Marin scelse in seguito di pubblicare una propria raccolta intitolandola con quest'espressione di Pasolini), che lo hanno isolato in una condizione quasi nirvanica. L'esito è una produzione poetica ininterrotta e inarrestabile, dal 1912 (Fiuri de tapo è il titolo della prima raccolta) all'anno della morte (La vose de la sera l'ultimo libro licenziato): migliaia di componimenti che tornano ossessivamente, come le onde calme e insistenti del suo Adriatico, su pochi temi: il paesaggio, l'amore, gli usi e costumi della piccola patria, ma soprattutto (e, col tempo, in misura sempre più esplicita) una forma di misticismo panteistico (importante fu, nella Firenze del tempo della "Voce" nella quale entrò in amicizia con Giuseppe Prezzolini - l'intellettuale Marin frequentò assiduamente anche altre capitali della cultura del primo Novecento, come Vienna e la Gorizia di Michelstaedter - , la lettura dei mistici tedeschi e in particolare di Meister Eckhart). Non sono mancati, in questo lunghissimo periodo, libri di versi italiani (come Acquamarina del '73), e volumi di prose, saggistiche e memorialistiche, queste tutte in italiano. Ma certo la specificità della sua voce resta quella di aver saputo dar vita a una lingua "che più non si sa", e che resterà per sempre legata alla sua pronuncia unica. Non mancarono, in questa lunga vita sana e operosa, traumi personali e storici profondi: dalla morte del figlio Falco (nel 1943, in guerra) al suicidio del nipote Guido nel '77, dalla scomparsa della moglie Pina nel '78 alla cecità e quasi sordità sopravvenute negli Anni Settanta. La poesia diventa cioè il luogo del vivere, la sola presenza che valga - Parola, mio solo rifugio, si intitola significativamente una sua raccolta scritta gli inizi degli Anni Ottanta -, nonostante "tutto quello che può cadere addosso a un uomo ingenuo e imprevidente, nessuna amarezza esclusa", come scrisse Pier Paolo Pasolini. Il poeta resta lì, immerso, "a fare tuttuno col mare, col cielo, coi gabbiani, coi bambini, con le sabbie, con le paludi, col sole, nel fuoco del sesso che copre il mondo con la sua lava celeste. Pur imparando tutto, il nostro poeta non ha imparato nulla. Ogni volta è come la prima volta" (ancora Pasolini). Il mare di carta lasciata da Marin alla sua morte è dunque il più naturale corrispettivo di quel paesaggio-matrice che resta sempre lo sfondo della propria poesia: le acque della costa adriatica nord-orientale (dalle valli di Comacchio - tra storia, fiaba e ricordo - alla laguna veneziana nella festa del Redentore, fino al mare della Venezia Giulia). Nella formazione umana e poetica di Biagio Marin, la terra d'origine, il paesaggio che gli ha dato i natali, che ha accolto in particolare la sua infanzia e, poi, dal '68 gli ultimi diciotto anni della sua vita, è risultata determinante. Grado, alla fine del secolo scorso era una piccola e isolata isola (non è un gioco di parole) della laguna compresa tra le foci dell'Isonzo e del Tagliamento. Solo più tardi sarebbe uscita dal suo secolare isolamento diventando una meta turistica prima asburgica, poi veneta e mitteleuropea, quindi un centro commerciale e di pesca collegato alla terraferma e alla vicina Istria. Il mare lagunare di Grado, aperto, sempre in moto ad oriente e a ponente, col santuario di Barbana poco distante; apparentemente immobile a settentrione, con distese di luce a perdersi su acque continuamente mutevoli nei colori e con la pianura friulana estesa oltre Aquileia in lontananza, costituisce il luogo essenziale della poesia di Marin. Il mare è lo spazio infinito da cui il poeta trae ispirazione e nel quale vagare, cercare, scoprire il Tutto, l'unitario Tutto, riconosciuto senso della sua vita e di ogni vita, umana e non. Nel 1980, in una sorta di confessione letteraria, Marin afferma, tra l'altro, che "il mare è stato per me la più pura parola dell'Alterità e la più immediata incarnazione della Divinità. Il cielo, e soprattutto il firmamento, certo, era anche lui parola divina, ma il mare era qualcosa di più. E' come l'aria che permette il respiro. Il mare lo vedevo e non solo lo vedevo, ma in esso mi tuffavo, conoscevo i suoi capricci, le sue bellezze le ore meravigliose di soio e le ore di tempesta, alla sua vita partecipavo. Del resto i miei genitori erano tutti marinai e noi uscivamo padroni di un trabaccolo col quale io, insieme a mio padre, ho navigato molte volte le coste dell'Istria. Proprio lì, dentro il mio mare ho avuto la prima, più semplice rivelazione della presenza di Dio". Il mare per Marin non si può staccare dalla vita, dalle sue cose, dalle circostanze, dalla realtà, dal vero grande ispiratore della sua poesia: "Dio, el so poeta" (Dio, il suo poeta); Marin riconosce e scopre che la vita è unitaria. Nel bene e nel male "vedeva e sentiva dovunque - come ha detto Claudio Magris -, anche nel dolore e nella morte, la sua unità, la possedeva con inebriata e inquietante sensualità che trovava desiderabile anche il morire; non solo i gabbiani in volo nel cielo estivo ma anche i gabbiani morti sulla sabbia e avviati a dissolversi, che prendeva in mano quasi con desiderio". L'archivio è di eccezionale importanza e interesse in quanto comprende numerosissimi testi inediti. Risulta dunque senz'altro il più importante strumento di conoscenza per approfondire la poetica e il pensiero del poeta: oltre agli inediti (ben 166 componimenti precedentemente sconosciuti sono presenti in queste carte), si segnalano in questo senso le versioni alternative di poesie note, e numerose copie autografe di uno stesso componimento. L'intero materiale è collocabile, cronologicamente, fra il '51 e il '64: anni di affermazione, e in specie di stretta consonanza con due figure chiave del nostro Novecento poetico: Vanni Scheiwiller e Pier Paolo Pasolini. In questi anni Marin pubblicò i seguenti volumi (nei quali rientrano la maggior parte delle poesie i cui manoscritti risultano editi): nel '57 Sénere colde e Tristessa de la sera, nel '58 L'estadela de San Martin, nel '59 El fogo del ponente, nel Solitàe, nel '63 Elegie istriane, nel '64 la già citata Il non tempo del mare (seguiranno nel '65 Dopo la longa istàe, nel '67 El mar de l'eterno, nel '69 El picolo nìo, nel '69 La vose de le scusse, ecc.). L'archivio è ordinato nel modo in cui l'ha lasciato lo stesso poeta. Oltre alla parte poetica, che ne costituisce la parte maggioritaria per interesse ma anche per quantità, conserva anche un gran numero di prose di Marin. In gran parte si tratta di articoli giornalistici redatti per lo più per fogli locali (ma non mancano saggi di maggior respiro, di argomento letterario, su figure chiave della sua formazione come Scipio Slataper o Giulio Camber Barni o Umberto Saba) o testi per conferenze (per es. quella tenuta per il conferimento della laurea honoris causa dell'Università di Trieste, il 24 giugno 1968), dei quali è in genere presente il dattiloscritto originale o in copia carbone, oltre a (ma non sempre) il relativo manoscritto; ma vi sono anche testi di maggior respiro e, sicuramente, maggior interesse, come la serie di dattiloscritti per la serie radiofonica Itinerari fra uomini e cose e l'altra Le cronache del poeta; importante il manoscritto completo (di 147 pagine) del libro (pubblicato da Scheiwiller nel '67) Strade e rive di Trieste, così come quello dell'edizione, curata da Marin, delle lettere del figlio Falco (scomparso in guerra, come detto, nel 1943) alla fidanzata Lucia. Ma il documento forse più interessante è il diario del periodo cruciale, per Trieste e la Venezia Giulia, compreso fra il 27 agosto 1946 e il 2 aprile 1948: sono 103 pagine dattiloscritte completamenmte inedite e finora sconosciute, che consentono di prendere atto di un punto di vista particolarissimo su vicende specie in questi ultimi anni ossessivamente ripercorse da storiografi e giornalisti di tutti gli orientamenti. Infine, in album cartacei, sono raccolti una quantità di articoli critici sul poeta, in copia dattiloscritta o carbone. Archivio di assoluto fascino, di eccezionale importanza letteraria e storica.

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MARIN, Biagio (1891-1985). Il presente grande archivio di manoscritti, in versi e in prosa, di Biagio Marin, contribuirà a far luce nel dettaglio su una delle figure più affascinanti, e insieme appartate, del Novecento letterario italiano. Il poeta di Grado - che come ricordò in tante interviste su consiglio di un'amica scelse di scrivere i suoi versi, anziché in italiano, nel dialetto della sua isola che nessuna scrittura letteraria aveva mai registrato sino ad allora - ha accompagnato lo svolgersi del secolo con una continuità, e un'apparente imperturbabilità ("il non tempo del mare", come splendidamente scrisse Pier Paolo Pasolini nel saggio che più ha contato nella giusta valorizzazione di questa voce unica, nel panorama poetico del nostro paese; e lo stesso Marin scelse in seguito di pubblicare una propria raccolta intitolandola con quest'espressione di Pasolini), che lo hanno isolato in una condizione quasi nirvanica. L'esito è una produzione poetica ininterrotta e inarrestabile, dal 1912 (Fiuri de tapo è il titolo della prima raccolta) all'anno della morte (La vose de la sera l'ultimo libro licenziato): migliaia di componimenti che tornano ossessivamente, come le onde calme e insistenti del suo Adriatico, su pochi temi: il paesaggio, l'amore, gli usi e costumi della piccola patria, ma soprattutto (e, col tempo, in misura sempre più esplicita) una forma di misticismo panteistico (importante fu, nella Firenze del tempo della "Voce" nella quale entrò in amicizia con Giuseppe Prezzolini - l'intellettuale Marin frequentò assiduamente anche altre capitali della cultura del primo Novecento, come Vienna e la Gorizia di Michelstaedter - , la lettura dei mistici tedeschi e in particolare di Meister Eckhart). Non sono mancati, in questo lunghissimo periodo, libri di versi italiani (come Acquamarina del '73), e volumi di prose, saggistiche e memorialistiche, queste tutte in italiano. Ma certo la specificità della sua voce resta quella di aver saputo dar vita a una lingua "che più non si sa", e che resterà per sempre legata alla sua pronuncia unica.
Non mancarono, in questa lunga vita sana e operosa, traumi personali e storici profondi: dalla morte del figlio Falco (nel 1943, in guerra) al suicidio del nipote Guido nel '77, dalla scomparsa della moglie Pina nel '78 alla cecità e quasi sordità sopravvenute negli Anni Settanta. La poesia diventa cioè il luogo del vivere, la sola presenza che valga - Parola, mio solo rifugio, si intitola significativamente una sua raccolta scritta gli inizi degli Anni Ottanta -, nonostante "tutto quello che può cadere addosso a un uomo ingenuo e imprevidente, nessuna amarezza esclusa", come scrisse Pier Paolo Pasolini. Il poeta resta lì, immerso, "a fare tuttuno col mare, col cielo, coi gabbiani, coi bambini, con le sabbie, con le paludi, col sole, nel fuoco del sesso che copre il mondo con la sua lava celeste. Pur imparando tutto, il nostro poeta non ha imparato nulla. Ogni volta è come la prima volta" (ancora Pasolini).
Il mare di carta lasciata da Marin alla sua morte è dunque il più naturale corrispettivo di quel paesaggio-matrice che resta sempre lo sfondo della propria poesia: le acque della costa adriatica nord-orientale (dalle valli di Comacchio - tra storia, fiaba e ricordo - alla laguna veneziana nella festa del Redentore, fino al mare della Venezia Giulia). Nella formazione umana e poetica di Biagio Marin, la terra d'origine, il paesaggio che gli ha dato i natali, che ha accolto in particolare la sua infanzia e, poi, dal '68 gli ultimi diciotto anni della sua vita, è risultata determinante. Grado, alla fine del secolo scorso era una piccola e isolata isola (non è un gioco di parole) della laguna compresa tra le foci dell'Isonzo e del Tagliamento. Solo più tardi sarebbe uscita dal suo secolare isolamento diventando una meta turistica prima asburgica, poi veneta e mitteleuropea, quindi un centro commerciale e di pesca collegato alla terraferma e alla vicina Istria. Il mare lagunare di Grado, aperto, sempre in moto ad oriente e a ponente, col santuario di Barbana poco distante; apparentemente immobile a settentrione, con distese di luce a perdersi su acque continuamente mutevoli nei colori e con la pianura friulana estesa oltre Aquileia in lontananza, costituisce il luogo essenziale della poesia di Marin. Il mare è lo spazio infinito da cui il poeta trae ispirazione e nel quale vagare, cercare, scoprire il Tutto, l'unitario Tutto, riconosciuto senso della sua vita e di ogni vita, umana e non. Nel 1980, in una sorta di confessione letteraria, Marin afferma, tra l'altro, che "il mare è stato per me la più pura parola dell'Alterità e la più immediata incarnazione della Divinità. Il cielo, e soprattutto il firmamento, certo, era anche lui parola divina, ma il mare era qualcosa di più. E' come l'aria che permette il respiro. Il mare lo vedevo e non solo lo vedevo, ma in esso mi tuffavo, conoscevo i suoi capricci, le sue bellezze le ore meravigliose di soio e le ore di tempesta, alla sua vita partecipavo. Del resto i miei genitori erano tutti marinai e noi uscivamo padroni di un trabaccolo col quale io, insieme a mio padre, ho navigato molte volte le coste dell'Istria. Proprio lì, dentro il mio mare ho avuto la prima, più semplice rivelazione della presenza di Dio". Il mare per Marin non si può staccare dalla vita, dalle sue cose, dalle circostanze, dalla realtà, dal vero grande ispiratore della sua poesia: "Dio, el so poeta" (Dio, il suo poeta); Marin riconosce e scopre che la vita è unitaria. Nel bene e nel male "vedeva e sentiva dovunque - come ha detto Claudio Magris -, anche nel dolore e nella morte, la sua unità, la possedeva con inebriata e inquietante sensualità che trovava desiderabile anche il morire; non solo i gabbiani in volo nel cielo estivo ma anche i gabbiani morti sulla sabbia e avviati a dissolversi, che prendeva in mano quasi con desiderio".
L'archivio è di eccezionale importanza e interesse in quanto comprende numerosissimi testi inediti. Risulta dunque senz'altro il più importante strumento di conoscenza per approfondire la poetica e il pensiero del poeta: oltre agli inediti (ben 166 componimenti precedentemente sconosciuti sono presenti in queste carte), si segnalano in questo senso le versioni alternative di poesie note, e numerose copie autografe di uno stesso componimento. L'intero materiale è collocabile, cronologicamente, fra il '51 e il '64: anni di affermazione, e in specie di stretta consonanza con due figure chiave del nostro Novecento poetico: Vanni Scheiwiller e Pier Paolo Pasolini. In questi anni Marin pubblicò i seguenti volumi (nei quali rientrano la maggior parte delle poesie i cui manoscritti risultano editi): nel '57 Sénere colde e Tristessa de la sera, nel '58 L'estadela de San Martin, nel '59 El fogo del ponente, nel Solitàe, nel '63 Elegie istriane, nel '64 la già citata Il non tempo del mare (seguiranno nel '65 Dopo la longa istàe, nel '67 El mar de l'eterno, nel '69 El picolo nìo, nel '69 La vose de le scusse, ecc.).
L'archivio è ordinato nel modo in cui l'ha lasciato lo stesso poeta. Oltre alla parte poetica, che ne costituisce la parte maggioritaria per interesse ma anche per quantità, conserva anche un gran numero di prose di Marin. In gran parte si tratta di articoli giornalistici redatti per lo più per fogli locali (ma non mancano saggi di maggior respiro, di argomento letterario, su figure chiave della sua formazione come Scipio Slataper o Giulio Camber Barni o Umberto Saba) o testi per conferenze (per es. quella tenuta per il conferimento della laurea honoris causa dell'Università di Trieste, il 24 giugno 1968), dei quali è in genere presente il dattiloscritto originale o in copia carbone, oltre a (ma non sempre) il relativo manoscritto; ma vi sono anche testi di maggior respiro e, sicuramente, maggior interesse, come la serie di dattiloscritti per la serie radiofonica Itinerari fra uomini e cose e l'altra Le cronache del poeta; importante il manoscritto completo (di 147 pagine) del libro (pubblicato da Scheiwiller nel '67) Strade e rive di Trieste, così come quello dell'edizione, curata da Marin, delle lettere del figlio Falco (scomparso in guerra, come detto, nel 1943) alla fidanzata Lucia. Ma il documento forse più interessante è il diario del periodo cruciale, per Trieste e la Venezia Giulia, compreso fra il 27 agosto 1946 e il 2 aprile 1948: sono 103 pagine dattiloscritte completamenmte inedite e finora sconosciute, che consentono di prendere atto di un punto di vista particolarissimo su vicende specie in questi ultimi anni ossessivamente ripercorse da storiografi e giornalisti di tutti gli orientamenti. Infine, in album cartacei, sono raccolti una quantità di articoli critici sul poeta, in copia dattiloscritta o carbone.
Archivio di assoluto fascino, di eccezionale importanza letteraria e storica.
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Where there is no symbol Christie's generally sells lots under the Margin Scheme. The final price charged to Buyer's, for each lot, is calculated in the following way: 24% on the hammer price of the first € 110.000,00 18,5% on the hammer price for any amount in excess of € 110.000,00