Lot Essay
Attorno al 1952 il collezionismo, anche nelle sue fasce più avanzate, non si è ancora accorto di Alberto Burri. La novità delle sue opere e l'inapplicabilità degli schemi di lettura sviluppati dalla critica fino a quel momento lo rendevano, anzi, difficile e sospetto; "compravano i cavalli di de Chirico, figurarsi se volevano i miei sacchi" commenterà l'artista molti anni dopo, al culmine della notorietà (citato in S. Zorzi, Parola di Burri, Torino 1995, p. 75). Come in molti casi, chi si dimostrerà più avanzato di tutti è Lucio Fontana, che acquisterà alla Biennale di Venezia, proprio nel 1952, un'opera dell'artista umbro che vi esponeva per la prima volta.
Le sue opere sono state avvertite fin dall'inizio, proprio per la scarsa attitudine dell'artista al compromesso, come difficili, ostiche. Già nella perentorietà del titolo si avverte l'abbandono di ogni inclinazione sentimentale mentre viene messa in evidenza l'importanza del colore in questa fase per Burri; dopo la fase appena precedente dei Neri, i Bianchi si accendono di luce e di contrasti. L'uso del colore in Burri è completamente antinaturalistico: "i colori sono così dentro alla mia testa che potrei farli al buio. Si potrebbe obiettare che gli impressionisti dovevano andare a vederli con i propri occhi. Ma io il bianco ce l'ho nel cervello" (citato in S. Zorzi, Parola di Burri, Torino 1995, pp. 86-87). L'artista non utilizza -almeno fino al recupero del colore nella fase tarda della sua attività- il giallo ("un coloraccio"), il verde (che pure aveva molto usato nei quadri dipinti durante la prigionia), il blu. I suoi colori sono neri, bianchi, rossi, assoluti, purissimi e profondi; non esistono sfumature o gradazioni, ma solo i contrasti. Questi possono nascere da alcuni dei 'suoi' colori accostati ma anche, sorprendentemente, da zone vicine dello stesso colore.
Per ottenere questo contrasto interno ad un unico colore Burri padroneggia la materia e la rifrazione della luce, diversa nelle zone lisce rispetto a quelle con una grana rugosa o scabra o ancora a quelle che preannunciano i Cretti. Il rapporto di Burri con i materiali non può essere quindi isolato dalla sua concezione del colore e appare chiaro in dipinti come Bianco. La pietra pomice non viene qui integrata al dipinto in funzione semplicemente decorativa o naturalistica; come invece dichiarato nel manifesto del Gruppo Origine a cui Burri aderiva in quegli anni, ha la funzione di esprimere una "visione rigorosa, coerente, ricca di energia". Il rigore e l'energia emergono, oltre che nell'uso dei materiali, anche nella composizione, che come sempre in Burri è serratissima e non lascia spazi alla piacevolezza: il bianco, preponderante, si accosta a un ocra e a un rosso cupo, lottando con la profonda oscurità delle macchie nere.
Le sue opere sono state avvertite fin dall'inizio, proprio per la scarsa attitudine dell'artista al compromesso, come difficili, ostiche. Già nella perentorietà del titolo si avverte l'abbandono di ogni inclinazione sentimentale mentre viene messa in evidenza l'importanza del colore in questa fase per Burri; dopo la fase appena precedente dei Neri, i Bianchi si accendono di luce e di contrasti. L'uso del colore in Burri è completamente antinaturalistico: "i colori sono così dentro alla mia testa che potrei farli al buio. Si potrebbe obiettare che gli impressionisti dovevano andare a vederli con i propri occhi. Ma io il bianco ce l'ho nel cervello" (citato in S. Zorzi, Parola di Burri, Torino 1995, pp. 86-87). L'artista non utilizza -almeno fino al recupero del colore nella fase tarda della sua attività- il giallo ("un coloraccio"), il verde (che pure aveva molto usato nei quadri dipinti durante la prigionia), il blu. I suoi colori sono neri, bianchi, rossi, assoluti, purissimi e profondi; non esistono sfumature o gradazioni, ma solo i contrasti. Questi possono nascere da alcuni dei 'suoi' colori accostati ma anche, sorprendentemente, da zone vicine dello stesso colore.
Per ottenere questo contrasto interno ad un unico colore Burri padroneggia la materia e la rifrazione della luce, diversa nelle zone lisce rispetto a quelle con una grana rugosa o scabra o ancora a quelle che preannunciano i Cretti. Il rapporto di Burri con i materiali non può essere quindi isolato dalla sua concezione del colore e appare chiaro in dipinti come Bianco. La pietra pomice non viene qui integrata al dipinto in funzione semplicemente decorativa o naturalistica; come invece dichiarato nel manifesto del Gruppo Origine a cui Burri aderiva in quegli anni, ha la funzione di esprimere una "visione rigorosa, coerente, ricca di energia". Il rigore e l'energia emergono, oltre che nell'uso dei materiali, anche nella composizione, che come sempre in Burri è serratissima e non lascia spazi alla piacevolezza: il bianco, preponderante, si accosta a un ocra e a un rosso cupo, lottando con la profonda oscurità delle macchie nere.